La sterilizzazione: azione terapeutica?

Decisamente in Gran Bretagna hanno un concetto quantomeno singolare di cosa sia eugenetica e cosa non lo sia. Lo stesso giorno in cui si dà il via libera alla fabbricazione di un bambino ottenuto assemblando il Dna di tre persone, così da garantire la creazione di un soggetto senza malattie ereditarie, si emana un’ordinanza di sterilizzazione per una donna con “un basso quoziente intellettivo” rea di aver messo al mondo 6 figli e di non riuscire a occuparsene adeguatamente.
La vicenda è disperante e con dettagli che evocano i peggiori scenari della Storia: a seguito della decisione giudiziaria la trentaseienne potrà essere prelevata a forza e sterilizzata forzatamente dalle autorità sanitarie per evitare “ulteriori drammi”. Non è molto chiaro come si possa commettere un sopruso spacciandolo per un bene. Dov’erano le stesse solerti autorità mentre la donna con difficoltà mentali era sistematicamente soggetta a violenze? Non si possono chiamare diversamente, stante l’assenza di piena consapevolezza, le violenze da lei subite da parte di quegli uomini che l’hanno più volte resa madre.
La notizia non può che far sobbalzare le coscienze. Le domande si susseguono veloci e chiedono risposte urgenti, perché le parole della Court of protection (il tribunale che si occupa della salvaguardia delle persone in difficoltà) più che tranquillizzare suonano come un caso da manuale di “excusatio non petita”. Sì, perché il tribunale ha voluto subito mettere le mani avanti sottolineando che, pur trattandosi di sterilizzazione forzata (è bene ribadire queste due parole, rileggerle e meditarne il significato), “non si tratta di eugenetica” ma di salvare una vita. Quindi, a loro avviso, si configurerebbe come azione “terapeutica”. Non sarà che adesso propaganderanno la sterilizzazione dei disabili come un “diritto riproduttivo”? Così, a prima vista, non sembra davvero un’idea nuova… Né tantomeno buona.