Terremoto 2016

La Messa in ricordo delle vittime di Amatrice, il vescovo: «Occorre una visione d’insieme, senza cadere nell’ingenuità di cavarsela da soli»

Ha fatto appello a una «visione d'insieme» e a uno «sguardo condiviso» monsignor Pompili, durante la Santa Messa in ricordo delle vittime di Amatrice, per la ricorrenza del terribile terremoto dell'agosto 2016

Un palazzetto dello sport di Amatrice pieno in ogni ordine di posto accoglie la messa solenne in memoria delle vittime del terremoto di Amatrice. Paramenti rossi per i tanti celebranti, in segno della Passione di Cristo e dei martiri, proprio come quelli periti su questa terra ferita.

Non mancano lacrime, a tre anni dal sisma, ma non mancano neppure segnali di speranza, che albergano nelle grida dei bambini, qualcuno in carrozzina, qualcuno che gironzola accanto ai genitori, inconsapevole, forse, di quanto accaduto.

Dopo la veglia della lunga notte, vissuta in intimità, la messa solenne vede la presenza di autorità civili, religiose e militari, con il coro parrocchiale locale che canta, con le composizioni anch’esse rosse, anch’esse a simboleggiare il troppo sangue versato. Con i soccorritori che quella notte e nei giorni successivi rischiarono la loro stessa vita per metterne in salvo altre.

«L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo», ha detto il vescovo Domenico nell’omelia citanto il libro dell’Apocalisse che «non indulge a scenari apocalittici, ma – al contrario – concentra la sua attenzione su una città che annuncia il superamento del mondo attuale. Gerusalemme, dunque, diventa il simbolo di un mondo nuovo e allontana lo sguardo da un mondo vecchio e ormai anacronistico».

La riflessione, a tre anni dal terremoto, in cui gli occhi sono «comprensibilmente centrati sui ritardi della ricostruzione, sullo spopolamento, su una burocrazia che non conosce deroga, sul disamore che si intravvede rispetto a questa bellissima terra. Questo è il mondo vecchio. Non basta però quest’analisi indiscutibile. Occorre un’altra cosa: ci vuole una visione. Questo è il mondo nuovo. A dire il vero, più che una visione in questi tre anni sono prevalsi ‘punti di vista’ diversi, anche a motivo dell’alternarsi di Governi, di responsabilità personali, di varia umanità. E la tendenza ogni volta è stata quella di ricominciare daccapo, nel modo esattamente contrario a chi è venuto prima. L’effetto inevitabilmente non poteva essere che lo stallo. Senza un progetto, cioè senza un respiro lungo non si va da nessuna parte. E come si vede, proprio in questi giorni, l’Italia stessa boccheggia».

«Più che una visione in questi tre anni si è fatta strada una certa confusione – prosegue monsignor Pompili – perchè se manca uno sguardo condiviso si spegne anche l’entusiasmo, passata l’adrenalina dell’emergenza. Sapere, ad esempio, cosa fare delle cosiddette “aree interne” del Paese è un modo concreto per fare chiarezza rispetto ad un contesto che va rigenerato non per ostinazione, ma per necessità. Perché l’Italia senza i borghi dell’Appennino non è più la stessa. Occorre però che su questa priorità si converga quando si decide di infrastrutture, servizi sociali, opportunità culturali».

Il bilancio è quello di una situazione confusa, incerta, che ha portato anche a casi di egoismo: «Più che una visione in questi tre anni si è affermata una limitazione che coincide con il proprio particulare. L’ingenuità di cavarsela da soli, peraltro, è figlia di una mentalità diffusa: quella del prima io, che porta a non prendersi cura dell’insieme. Il rarefarsi della socialità, a dispetto dei social, è l’esito triste del restringimento mentale degli individui. E quando vien meno il campo largo sulla realtà la capacità di resistere scompare. Ritrovare una visione, è l’unica strada per sottrarsi alla paralisi di un’analisi senza speranza. Lo dobbiamo non solo ai nostri figli, ma anche a quelli che non sono più tra noi. La domanda vera, infatti, non è Da dove vieni?, quanto Dove vai?».

Scatta l’applauso, scendono le lacrime. Si spera, anche riflessioni che possano aiutare a superare la rabbia, tendendosi la mano.