Chiesa di Rieti

In silenzio dietro la croce

È partita da San Pietro Martire, avviandosi per i vicoli del centro storico di Rieti, la Via Crucis del Venerdì Santo presieduta per la prima volta dal vescovo monsignor Vito Piccinonna

Sono stato, io l’ingrato. Gesù mio, perdon pietà. È partita da San Pietro Martire, avviandosi per i vicoli del centro storico di Rieti, la Via Crucis del Venerdì Santo presieduta per la prima volta dal vescovo monsignor Vito Piccinonna. Serata tiepida nonostante l’abbassamento delle temperature degli ultimi giorni, e folta la partecipazione dei cittadini che si sono silenziosamente avviati dietro la croce di legno, sostenuta a turno da alcuni giovani.
O Maria, quel tuo bel figlio chi lo uccise e massacrò. Scorrono stazione dopo stazione le meditazioni tratte anche quest’anno dalla Via Crucis tenuta in contemporanea al Colosseo. Quest’anno papa Francesco nono ha potuto partecipare fisicamente per i suoi recenti problemi di salute, è rimasto in Casa Santa Marta, raccolto in preghiera.

Barabba o Gesù? Devono scegliere. Non è una scelta qualunque: si tratta di decidere dove stare, quale posizione prendere nelle complesse vicende della vita. La pace, che tutti desideriamo, non nasce da sé, ma attende una nostra decisione. Allora come oggi siamo continuamente chiamati a scegliere tra Barabba o Gesù: la ribellione o la mansuetudine, le armi o la testimonianza, il potere umano o la forza silenziosa del piccolo seme, il potere del mondo o quello dello Spirito.

La notte è scesa ormai sulla città, e il silenzio avvolge persino i rumorosi giovani della movida, che escono dai locali a ridosso del Ponte Romano e chinano il capo davanti alla croce.

Terza stazione, Gesù cade per la prima volta: «Noi giovani vogliamo la pace. Ma spesso cadiamo e la caduta ha tanti nomi: ci buttano a terra la pigrizia, la paura, lo sconforto, e anche le vuote promesse di una vita facile ma sporca, fatta di avidità e corruzione».

La gente si unisce ancora al corteo, man mano e sommessamente, prendendo la fiaccola coi riflessi rossi dal cestino. La quinta stazione arriva a ridosso di piazza Cavour, sotto la statua di San Michele Arcangelo. Arrivano altre persone, si accodano con discrezione: «Ho dentro un vuoto d’amore che mi fa sentire un peso inutile. Ci sarà un Cireneo per me? La mia vita è in viaggio, sono scappato dalle bombe, dai coltelli, dalla fame e dal dolore. Sono stato spinto su camion, nascosto in bauli, gettato su barche pericolanti. Eppure il mio viaggio è continuato per raggiungere un luogo sicuro, che offra libertà e opportunità, dove possa dare e ricevere amore, praticare la mia fede, dove sperare sia reale».

Signore ascolta, Padre perdona, fa che vediamo il tuo amore. Ti confessano ogni nostra colpa, riconosciamo ogni nostro errore: Signore ascolta, Padre perdona.

Si canta piano tutti insieme, e al passaggio sul ponte pedonale l’aria fredda che sale dal fiume Velino fa stringere nei cappotti. Ma è poca cosa.

Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.

Don Marco e don Benedetto affiancano il vescovo Vito, si scandiscono le stazioni della via che ricorda la salita al Calvario. Issate ad ogni sosta, le immagini di Cristo stilizzate, tratteggiate sui toni del rosso e dell’arancio.

Subito dopo i diaconi, i cantori, i bambini che reggono la fiaccola di fianco al vescovo Vito di tanto in tanto tenendogli la mano. Dietro, il popolo di Dio che sta per essere crocifisso. Eccomi, eccomi, Signore io vengo, si intona salendo in via San Francesco. Sui bordi dei balconi la gente ha posizionato lumini rossi, dalle ringhiere penzolano drappi scarlatti, mentre l’audio dei televisori che si intravedono nei soggiorni si va gradualmente abbassando, man mano che si intravede il flusso di persone in arrivo.

La cera va sciogliendosi, e se la fiammella si spegne ci si aiuta uno con l’altro per riaccenderla: «Fai piano, scotta. Aspetta, ecco fatto». Si riparte, due suore si stringono nelle frange delle sciarpe bianche che avvolgono le loro vesti nere. Gesù cade per la seconda volta. «Mi chiamo Joseph, ho 16 anni. Sono arrivato nel campo per sfollati con i miei genitori nel 2015 e ci vivo da più di 8 anni. Se ci fosse stata la pace, sarei rimasto a casa mia, dove sono nato, e mi sarei goduto l’infanzia»

Purificami o mio Signore, sarò più bianco della neve. Peccatore mi ha concepito mia madre.

Carabinieri e vigili urbani bloccano il traffico delle intersezioni circostanti, le luci blu dei lampeggianti si intravedono da lontano, ormai verso la basilica di Sant’Agostino, quando risuonano le 22. Ciascuno al suo posto, ciascuno al suo lavoro, senza prevaricazioni o presenzialismi. La croce si issa e si riabbassa, sulle spalle degli uomini e dei ragazzi che si alternano per sostenere il suo peso, avvicinandosi timidamente alle sue assi.

«Gesù, porti la tua croce. E penso che anche il mio Paese porta la sua croce. Siamo un popolo che ama la pace, ma siamo schiacciati dalla croce del conflitto». Gesù cade per la terza volta. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Si va verso l’epilogo, Gesù viene spogliato delle due vesti, inchiodato mani e piedi alla croce: Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra. Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!» Poi spira, perdonando i suoi uccisori.

Le ultime due stazioni narrano di quando viene deposto dalla croce, il suo corpo giacerà nel sepolcro.

«Era un venerdì sera, quando i ribelli fecero irruzione nel nostro villaggio, presero in ostaggio tutti quelli che poterono, deportarono chi trovarono e ci caricarono di quanto avevano saccheggiato. Durante il tragitto uccisero molti uomini con proiettili o coltelli. Le donne le portarono in un parco. Ogni giorno eravamo maltrattate nel corpo e nell’anima. Spogliate di abiti e di dignità, vivevamo nude perché non scappassimo. Per grazia un giorno, quando ci mandarono a prendere l’acqua al fiume, riuscii a fuggire. La nostra provincia è ancor oggi un luogo di lacrime e dolore. Quando il Papa è venuto nel nostro Continente, abbiamo deposto sotto la croce di Gesù gli abiti degli uomini armati, che ancora ci fanno paura. Nel nome di Gesù li perdoniamo per tutto quello che ci hanno fatto. Al Signore chiediamo la grazia di una convivenza pacifica e umana. Sappiamo e crediamo che il sepolcro non è l’ultima dimora, ma che siamo tutti chiamati a vita nuova nella Gerusalemme celeste»

La notte più cupa scende su Rieti, l’umidità si fa sentire: ciascuno torna infreddolito a casa, ma libero da fardelli inutili che troppo spesso gravano sulle coscienze e ingolfano i sentimenti. Sono stato, io l’ingrato. Gesù mio, perdon pietà.