Chiesa di Rieti

Impariamo da Gesù a scorgere i volti degli altri

Prima Messa del crisma per il vescovo Vito, in una Cattedrale gremita è stato abbracciato dai presbiteri della diocesi di Rieti, dai diaconi e da tutto il popolo di Dio

Prima Messa del Crisma per il vescovo Vito, a solo tre mesi dalla sua ordinazione. Ed è nella stessa Cattedrale, dagli spazi parzialmente compromessi dai cantieri per il restauro reso necessario dai terremoti del 2016, che nella sera del Mercoledì della Settimana Santa è stato abbracciato dai presbiteri della diocesi di Rieti, dai diaconi e da tutto il popolo di Dio. Questo per l’appunto il senso della Messa Crismale: vuole significare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio pastore. Occasione unica per la consacrazione degli Oli Santi e per offrire a tutti i presbiteri l’occasione di rinnovare le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione. Tutte dimensioni ben presenti nell’omelia del vescovo che non ha nascosto la trepidazione di trovarsi per la prima volta non in mezzo ai confratelli sacerdoti, ma di fronte a loro come padre, fratello, guida. Ma alla nostalgia ha subito fatto seguito la consapevolezza del dono e della responsabilità di poter condurre lo sguardo di tutti verso il Messia.

Gli occhi su Gesù

«Fissare gli occhi su di Lui – ha spiegato don Vito – è il primo e più grande dono che ci viene fatto». E non si tratta di «uno sforzo o un compito sproporzionato per le nostre fragili forze», ma di un dono: «una possibilità sempre nuova che pur ripetuta nel tempo possiede una novità verginale ogni volta che accade». Gesù, infatti, «ci ha sedotti senza mai abbandonarci, nonostante i nostri tradimenti e rinnegamenti», ma stupisce per il «dono inatteso della Sua misericordia che sempre e daccapo ci fa nuovi nel cuore e nella vita».

Una generosità che aiuta a riconoscere in sé stessi ogni povertà, ad esercitare la necessaria umiltà, a riscoprirsi oggetto prima che annunciatori di salvezza. E che porta a interrogarsi su quante volte si diviene «piede d’inciampo per tanti, per i semplici e i poveri», su quante volte «il volto e il nome dolcissimo di Gesù riceve sfratto dalle nostre vite». Soprattutto quando «abbiamo inventato modi delicati per farlo», lasciando che la vita scorra «scialba come se non avessimo mai incontrato Cristo o quasi». E allora occorre ammettere «di aver bisogno noi per primi di quelle parole così antiche e così nuove, così amate e desiderate, così lontane eppure così vicine», che «mettono dinanzi ad una visione nuova, di un tempo di giustizia, di misericordia, di gioia, di bellezza».

Servi del Vangelo e del popolo di Dio

Un discorso rivolto innanzitutto ai pastori presenti, «servi del Vangelo e di questo popolo che ci è affidato per condurlo con gioia sui sentieri del Regno, per avvertire il compito di essere sempre e comunque indicatori stradali, non verso le nostre strade, ma verso le Sue, capaci di fermarci solo quando la carità verso i fratelli ce lo chiede, specie verso i più fragili, che talvolta hanno il volto di un nostro confratello, di una nostra consorella, di un fratello o sorella di comunità». È dallo sguardo fisso su Gesù che si impara a fissare il volto degli altri, dei poveri, dei prigionieri, degli oppressi. È dal Vangelo che si impara a non sentirsi impotenti «constatando il poco che abbiamo e siamo», come i discepoli prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci. «Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, consapevoli del grande dono della nostra vocazione, avvertiremo la forza di quell’Olio con cui tutti quanti siamo stati crismati per annunciare ancora le opere meravigliose di Colui che ci ha trasferiti dalle tenebre nel suo regno di luce gloriosa. Solo così i sogni di Dio continueranno a verdeggiare e i sogni dei poveri, degli infelici, dei delusi dalla vita si faranno veri».

È Gesù l’anno di Grazia del Signore, sempre a noi contemporaneo, capace di soffiare negli inferi della nostra umanità confusa e non felice, disorientata dalla crisi economica e più ancora dai venti gelidi della guerra pagata a caro prezzo nella carne martoriata e dimenticata dei più piccoli, dinanzi ad una indifferenza globalizzata …

«Credo fermamente – ha detto ancora il vescovo ai sacerdoti – che il segno più grande che questa Chiesa reatina attende soprattutto da noi suoi ministri sta nel camminare più speditamente insieme, in comunione. E non per una scelta tattica (perché siamo pochi o da soli non ce la facciamo …), ma anzitutto perché insieme ci ha pensato il Signore. Non diversamente!».

Aiutare la Chiesa a essere madre

Quanto ai fedeli, l’invito è quello a voler bene «a noi ministri di Cristo», a perdonare «se talvolta non traspare immediatamente la nostra consonanza con i gusti, i sogni e le scelte di Dio. Ungete di comprensione e di fraternità la nostra vita, la nostra solitudine perché vi assicuriamo di provare un indistruttibile amore per il nostro Signore e per la Sua Chiesa che ci affida a voi come servi premurosi, a tempo pieno».

Compito dei laici è quelli di «edificare insieme con noi ministri del Signore le comunità parrocchiali come famiglia di Dio senza fuggire le responsabilità nella vita sociale. Più e prima ancora delle vostre realtà di appartenenza, guardate alla Chiesa come vostra Madre, aiutatela ad essere Madre anche oltre i suoi confini e attraverso di voi possa arrivare a tutti, specie dove il dolore e la mancanza di speranza cercano di soffocare la gioia e la felicità che Dio desidera per ciascuno dei suoi figli. Soprattutto voi famiglie aiutate le nostre comunità ad acquistare un maggiore sapore domestico, famigliare, scevro da forme e sovrastrutture, essenziale, povero anche, perché faccia meglio a tutti giungere il messaggio di liberazione e di speranza del Vangelo di Gesù, nostro unico amore».

Il coraggio di un tempo sinodale

Don Vito non ha fatto mancare una parola di vicinanza ai religiosi e alle religiose, per la loro testimonianza: «Continuate a mostrarci con la vita l’Assoluto del Regno che viene». E rivolgendosi ai diaconi ha chiesto loro di ricordare «a questa Chiesa, a cominciare dal vescovo, che o siamo una Chiesa serva oppure non siamo». A tutti l’invito al coraggio di camminare «con gioia e speranza in questo tempo sinodale che il Santo Padre chiede a tutta la Chiesa. Viviamo questi giorni santi e, più ancora, tutta la vita con gli occhi fissi su Gesù. «Come vostro pastore, padre e fratello vorrei affidarvi una certezza: fissando davvero Lui- anche quando il nostro sguardo sarà purtroppo altrove- Lui da voi non allontanerà mai lo sguardo. Mai, fosse anche dall’alto della croce. Ve lo assicuro».