Immigrati: non sono numeri

Antonella Liorni

Giovedì 11 aprile, la Caritas diocesana ha presentato il Dossier Statistico Immigrazione che viene pubblicato ogni anno da Caritas italiana, Fondazione Migrantes e Caritas diocesana di Roma.

Quando si parla di immigrazione, la Chiesa italiana si riferisce a un lavoro quotidiano, orientato al bene comune. Seguendo le indicazioni di Caritas italiana, la Caritas diocesana di Rieti è attiva in questo settore da diversi anni.

Il primo impegno è l’accoglienza ordinaria, che si traduce prevalentemente in funzioni di ascolto, soddisfacimento dei bisogni primari, promozione della solidarietà.

Accanto a questi impegni di aiuto immediato, la Caritas diocesana di Rieti ha cercato di privilegiare scelte che favoriscono sempre l’integrazione, offrendo opportunità di apprendimento della lingua e della cultura e tradizione italiane e della legislazione italiana, oltre che progetti di inclusione, lavoro, prevenzione.

 

Si è cercato inoltre di dare attenzione costante ad una categoria più vulnerabile di immigrati, i richiedenti asilo, con l’attivazione del progetto SPRAR (Sistema di protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) che la Caritas porta avanti dal 2008.

Ed è proprio con Antonella Liorni, responsabile del progetto SPRAR della Caritas diocesana, che abbiamo affrontato i temi della giornata.

Antonella, è stata una mattinata piuttosto partecipata…

È vero. Per la presentazione dei dati nazionali è stato invitato a Rieti il coordinatore del dossier statistico immigrazione Franco Pittau ed è stato un piacere per noi vedere la partecipazione all’evento di praticamente tutte le istituzioni, accanto agli immigrati, ai cittadini più attenti al sociale, alle associazioni di settore. E soprattutto a tanti alunni delle scuole superiori di Rieti.

Perché i ragazzi hanno questa attenzione verso le altre culture?

Credo che per loro sia una condizione naturale. Teniamo presente che ormai sono tantissime le classi in cui ci sono alunni stranieri. E credo che molti ragazzi di oggi abbiano anche una sorta di predisposizione al sociale. Vogliono partecipare. Di sicuro c’è anche un lavoro di sensibilizzazione degli insegnanti. Ma in generale credo che i ragazzi abbiano bisogno di vivere bene una condizione di fatto. La presenza di più culture, anche in una realtà piccola come la nostra, è un segno dei tempi. Forse vale un po’ il discorso che si fa con la tecnologia. Così come ci sono i nativi digitali, ci sono i nativi… multiculturali.

Un tema di convivenza non più indotto, ma connaturato…

Sì, credo sia così. Intendiamoci, non è tutto rose e fiori. Non è detto che una condizione di fatto sia pacifica per tutti. Alcuni magari vivono la cosa con rabbia. Di tanto in tanto ritorna l’idea dell’immigrato che ruba il lavoro, oppure ottiene la casa popolare al posto dell’italiano. Altri capiscono la complessità della situazione e preferiscono vedere cosa questi nuovi cittadini possono portare di buono. Quale che sia la posizione, però, i più giovani sanno che una qualche convivenza è semplicemente necessaria ed inevitabile.

È possibile che l’immigrazione ci metta in difficoltà proprio dal punto di vista culturale? In fondo certe popolazioni riportano da noi valori di tipo familiare o di solidarietà che abbiamo un po’ messo da parte per fare spazio alla società dei consumi. Il confronto con popolazioni più povere sottolinea il nostro benessere, ma anche quello che abbiamo perduto per ottenerlo…

Può essere una lettura. Quello che è interessante da questo punto di vista è che l’apertura all’incontro dà vita a nuove energie positive, a nuove elaborazioni di società. Noi lo abbiamo verificato in piccolo sperimentando un laboratorio teatrale. Sulle locandine non abbiamo specificato nulla riguardo alla presenza dei nostri rifugiati. Le persone sono arrivate per imparare tecniche teatrali. Però a fine corso ci siamo trovati con un interessante melting pot. Un’esperienza gratificante per tutti.

Succede spesso quando si parla di persone…

Sì, non a caso il messaggio della Caritas rispetto al rapporto sull’immigrazione è “non sono numeri”. Suona strano parlando di statistiche, ma c’è davvero una grande voglia di guardare alle persone più che ai dati. Il rapporto include l’idea che le cifre raccontano storie di uomini, donne e bambini. È davvero una lettura interessante, che coniuga il rigore scientifico alla sensibilità sociale.

L’esperienza della Caritas e del progetto per i rifugiati sembrerebbe anche un’altra. Di solito parliamo di come i cittadini italiani percepiscono l’immigrazione, ma c’è anche da capire come lo straniero percepisce il nostro Paese…

È vero. In effetti non ci si riflette mai abbastanza, ma i punti di vista da coniugare sono due. Noi ad esempio spingiamo i nostri utenti a non subire le politiche. Spieghiamo loro che ne devono essere i protagonisti, che debbono partecipare. Ovviamente per fare questo vanno superati un bel po’ di ostacoli. Ci sono problemi con la lingua, con i riferimenti normativi, con l’orizzonte culturale. Un bel po’ di cose da mediare, di deficit sociali da colmare.

Il dossier è un ottimo strumento di sensibilizzazione…

Sì, e non solo. Il Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes ha assunto sempre maggior rilievo sia come strumento di sensibilizzazione che come punto di riferimento per le istituzioni coinvolte per l’adeguamento delle politiche sociali a favore degli immigrati. Offre un punto di partenza per il lavoro del legislatore, per l’elaborazione delle azioni degli enti territoriali, e così via.

La Caritas rimane un osservatorio importante…

Sì, è una realtà immersa nel corpo vivo della società. Nel rapporto non c’è solo lo studio freddo, distaccato, dei fenomeni, ma un viverli in prima persona e farsene carico. Questo permette al rapporto Caritas-Migrantes di elaborare un punto di vista originale.

Il rapporto è volto alla dimensione generale, ma contiene qualche dato sulla realtà locale?

Beh, intanto si vede che la presenza degli immigrati è un fenomeno in crescita. Ad oggi gli stranieri in provincia di Rieti sono un po’ più di cinquemila. Equivalgono a circa un decimo della popolazione della città capoluogo. I rifugiati sono una minima parte. I motivi della presenza sono soprattutto il lavoro e i ricongiungimenti familiari. È interessante il buon grado di integrazione. Vuol dire che trovano lavoro nonostante le difficili condizioni economiche. Ovviamente ad alzare la media c’è l’attività delle badanti. Però c’è da aggiungere che il dato sull’imprenditorialità degli stranieri è piuttosto alto.

Situazione immigrazione a Rieti

Situazione immigrazione a Rieti

Foto di Massimo Renzi.