Il giudizio universale di ieri sulla Rieti di oggi

Nel cortometraggio “La ricotta”, Pier Paolo Pasolini – morto ammazzato il giorno dei morti di 40 anni fa – cita se stesso tramite uno straordinario Orson Welles. Lo cala nei panni di un impietoso regista cinematografico e lo mette di fronte ad un giornalista. Quindi gli fa spiegare i versi di “un poeta” che «ha descritto certi ruderi antichi di cui nessuno capisce più stile e storia e certe orrende costruzioni moderne che invece tutti capiscono».

La scena tornava alla mente durante l’intensa conferenza che la professoressa Ileana Tozzi ha tenuto nel pomeriggio del 30 ottobre all’Auditorium dei Poveri, su sollecitazione della Confraternita di Misericordia di Rieti, alla presenza di un pubblico minimale. Un contributo che studiosa e sodalizio hanno voluto offrire alla vigilia della festa di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti. Tema dell’incontro un approfondimento su “Il giudizio universale” dipinto dell’oratorio di San Pietro da Verona ed oggi incluso nell’area militare della caserma “Verdirosi” e sul pietoso servizio di assistenza ai moribondi e di conforto ai superstiti storicamente reso da alcune confraternite reatine.

E proprio in queste testimonianze è sembrato di cogliere i «ruderi antichi di cui nessuno capisce più stile e storia» che Pasolini fa evocare al geniale autore di “Quarto Potere. Quanto alle «costruzioni moderne che invece tutti capiscono», sono ovviamente le mascherate sul tema delle tenebre che da qualche anno, alla fine di ottobre, si fanno avanti «in una maniera assolutamente becera».

Il cortometraggio prosegue con Orson Welles che legge la poesia di Pasolini tenendo in mano una copia del libro “Mamma Roma”: «Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d’altare […]». Così il poeta ateo e marxista confessa il suo paradossale «intimo, profondo, arcaico cattolicesimo».

Essere «una forza del Passato» vuol dire cogliere la parte più vitale della nostra memoria. Dalle straordinarie eredità delle confraternite reatine della “buona morte” possiamo comprendere riti, cicli, sentimenti e gesti di epoche che hanno costruito il sentimento delle generazioni passate. Un terreno in cui, ormai inconsapevolmente, ancora affondano le radici della nostro “io” più autentico.

«È bene che noi ricordiamo queste testimonianze – ha spiegato la professoressa Tozzi – che sappiamo decodificarle, interpretarle ancora. Perché se le vediamo esclusivamente come valore estetico, sotto il profilo formale, sicuramente ci nutriamo gli occhi, ma possiamo ancora nutrire vantaggiosamente le nostre coscienze se recuperiamo il senso ed il significato per cui queste opere d’arte ci sono state consegnate».

Foto di Massimo Renzi.