Durante gli ultimi mesi ho spesso avuto modo di pranzare con un uomo che a Rieti è ben noto, stimato e saggio. Lo scorso martedì ci siamo scambiati delle idee sui nuovi mezzi di comunicazione. Don Vincenzo Santori, classe 1920, ovviamente non usa quotidianamente WhatsApp, e forse neanche l’e-mail, che pure per tanti ha già il sapore dell’anticaglia, ma usa il rosario.
Chissà se è proprio per questo che non soffre la solitudine, come invece sembra accadere a tante persone, nonostante le centinaia di amici che possono vantare su Facebook.
Don Vincenzo non usa certo le chat, ma se gli si presta ascolto ha sempre da dire cose interessanti e profonde. Il mondo dei nuovi mass media può dare l’illusione del rapporto diretto, ma in realtà nasconde un muro di superficialità.
Mi chiedo se questo nostro villaggio che ci stiamo costruendo – chiamiamolo come ci pare – non sia una sorta di nuova Babele. Magari ci si illude di poter salire a sedersi alla destra del Padre, e si finisce col cadere nell’abisso del vuoto.
Perché sì: la lingua l’abbiamo, e gli strumenti pure, ma nel tirare le somme scopriamo che da comunicare abbiamo poco o niente. Forse perché la vera comunicazione avviene quando due si incontrano e si riconoscono, figli nel Figlio.