Con Francesco nella Valle

Don Patriciello a Rieti: «C’è bisogno di amore e l’amore deve darsi una… regolata»

Per il festival Con Francesco nella Valle è stato ospite all'auditoriun Santa Scolastica di Rieti don Maurizio Patriciello, sacerdote impegnato in contesti difficili, prima la Terra dei fuochi, oggi Caivano

C’è bisogno di amore e l’amore deve darsi una… regolata. Era stato proprio un editoriale scritto da don Maurizio Patriciello su «Avvenire» a suggerire all’associazione “Con Francesco nella Valle” lo slogan dell’edizione 2023 del festival francescano proposto a Rieti in coda ai festeggiamenti in onore del Poverello d’Assisi, in questo anno in cui si fa memoria degli otto secoli – oltre che del presepe di Greccio – della Regola che san Francesco scrisse nel ritiro di Fonte Colombo per i suoi minores.

Lo spiega Alessandra Lancia nell’introdurre l’incontro nel pomeriggio che apre questo speciale weekend reatino dal sapore francescano. All’auditorium Santa Scolastica si è da poco concluso l’interessante “preludio” con cui il frate minore Simone Gastaldi, in dialogo con il confratello Aldo La Neve (guardiano di Fonte Colombo), ha parlato di un tema particolare, oggetto della sua tesi di licenza e reso disponibile, in una versione più divulgativa, nel libro Sotto lo stesso cielo, analizzando “Tracce di ebraismo in Francesco d’Assisi” (così il sottotitolo del volumetto, pubblicato per le Edizioni Terra Santa).

L’ex chiesa benedettina di via Terenzio Varrone è già blindata da Digos e Carabinieri, visto l’ospite che si attende, sotto scorta per le minacce dei camorristi a cui, nella Caivano dove è parroco al “famigerato” Parco Verde, rompe da tempo le uova nel paniere. E quando siede nel “salottino” con la giornalista conduttrice e il direttore della Caritas don Fabrizio Borrello (il quale porta anche il saluto del vescovo Piccinonna che non ha potuto essere presente) si capisce subito che Patriciello, stavolta come sempre, non le manda a dire.

Come scritto in quell’editoriale, dunque, serve una regola, che per i cristiani, come Francesco d’Assisi volle ribadire con forza, altro non è che il Vangelo. È da qui che scaturisce la “passione” per l’uomo che ispira l’azione di questo sacerdote campano, vocazione adulta sbocciata dopo dieci anni di lavoro in ospedale da infermiere. Che ispira le sue battaglie perché lo Stato tornasse ad aprire gli occhi su luoghi feriti e abbandonati all’illegalità, dalla “Terra dei fuochi” alla Caivano che, dopo i fattacci delle ultime cronache, ha visto la visita della premier Meloni proprio su invito del parroco che non si dà per vinto e non si lascia intimorire dalle minacce mafiose.

Quella passione per l’uomo, dice padre Maurizio, che spinge, per esempio, a interessarsi a tutto campo al problema ambientale, e papa Francesco a ritornarvi sopra, otto anni dopo la Laudato si’, con un ulteriore documento. «Ma non è un discorso sull’ambiente, è un discorso sull’uomo», precisa il dinamico prete: «Chi avvelenerebbe il pozzo da cui beve? E invece questo stiamo facendo!», e di avvelenamenti, reali e metaforici, lui se ne intende bene.

Un amore «regolato è quanto mai di urgente ci sia per i nostri giovani», lo stimola Lancia richiamando il fattaccio delle bambine violate da altri poco più che bambini, tutte vittime, precisa don Maurizio senza voler sminuire responsabilità, ma chiamando in causa la responsabilità collettiva, quella degli adulti che troppo spesso solo ipocritamente a parole condannano pedofilia e pedopornografia (racconta di scene agghiaccianti di cui è venuto a conoscenza col confratello siciliano don Fortunato Di Noto, anima di Meter che ne sa ben più della Polizia postale su certi orrori che non risparmiano neppure i neonati: «Sono contro ogni violenza, ma vedendo quella scena se avessi avuto tra le mani quel tizio lo avrei ucciso», confessa tra gli appalusi).

Ricorda anche l’altro fattaccio di anni fa al Parco Verde, con la povera bimba scaraventata dal balcone, che rivelò scenari agghiaccianti, ma precisa di non accettare l’equivalenza fra degrado e pedofilia, visto che essa ben più di quanto si immagini emerge in ambienti borghesi e apparentemente “puliti”. Riferisce di quanto il degrado della zona in cui si svolge il suo ministero sia frutto di un abbandono colpevole dello Stato… Ma lui non smette di fare il prete, non il politico, non l’operatore sociale, non l’opinionista, ma l’uomo di Dio, che i politici e gli intellettuali inchioda alle loro responsabilità e la società tutta richiama a quella “regola” comune, a prescindere da quale fede o non fede si professi, che è il sentirsi fratelli, e dunque coinvolti, volenti o nolenti.