Don Domenico: «il peccato consiste nel pensare di poter fare a meno di Dio»

«Quante volte ci sentiamo a posto con quel che siamo e diciamo di vivere, siamo corretti dal punto di vista delle norme e delle leggi, ma sentiamo che ci assale l’angoscia e la paura di fonte al non senso della vita? A che serve tutto questo, qual è il suo scopo?»

Sono le domande che il vescovo Domenico ha posto ai soci dell’Istituto Storico Massimo Rinaldi, convenuti nella chiesa di San Rufo per la Messa nel giorno della festa del Battesimo del Signore, ricordando che «paradossalmente quelli che affollano le rive del Giordano sono più i peccatori segnati a dito (prostitute e peccatori) che non gli uomini religiosi del suo tempo».

«Per sentirsi peccatori – ha aggiunto mons. Pompili – bisogna sperimentare il nostro fallimento, l’ansia che nasce da una vita scombussolata. Diversamente ci si sente a posto e si rischia di rinchiudersi nel proprio perbenismo. Sono gli altri che devono cambiare. Noi non abbiamo nulla da rimproverarci».

Vale a dire che «il peccato esiste e consiste nella nostra autosufficienza, nel credere di riuscire a fare il mondo più bello e pulito anche senza di Lui. Ma così non è. Ci vuole quello che accade sulle rive del Giordano. “Il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: “Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”».

Il cielo che si apre e la colomba sono i due segni di una novità che costringe a rivedere tutto. Il cielo aperto è un’emozione che ci lascia sempre sorpresi e contenti, ma è la prova che Dio esiste. Anzi ci si fa incontro, dietro la cortina delle nubi e la tristezza della pioggia. In realtà il cielo c’è sopra di noi, ma quando è chiuso siamo impediti dall’accorgercene. E quando è chiuso il cielo produce non solo emicrania, ma anche una vena di depressione e di stanchezza che ci fa sentire come ‘topi in gabbia’. Solo quando il cielo si apre su di noi ritroviamo la fiducia che ci viene donato quella che è la parte migliore di noi stessi; si può sperare quello che ci impediamo di vivere sotto il peso delle preoccupazioni e delle paure; si abbandona la sconsolata presunzione che non ci sia nulla di nuovo, lasciandoci sorprendente dalla vita. La colomba che scende aggiunge una sfumatura alla bellezza della terra che non è più chiusa in se stessa. Suggerisce che non siamo noi a dover andare in alto, ma è Dio che feconda la terra grazie a quel Figlio, del quale dice: ”In te mi sono compiaciuto”.

Ma «non basta il cielo aperto se non percepiamo che la figliolanza è la via per ritrovare noi stessi. Di qui può nascere allora un nuovo stile di vita all’insegna della sobrietà, della giustizia e della pietà. La sobrietà di chi non deve più strafare perché non sono le cose ma quello che sei a dar sapore e gusto. La giustizia cioè un diverso rapporto con gli altri, perché non basta cavarsela da soli se non riusciamo a vivere con gli altri. E la pietà che vuol dire la tenerezza di percepire Dio in tutte le cose e così il mondo ritrova il suo incanto».

«Il battesimo di Gesù non segna solo l’inizio della vita pubblica del giovane profeta di Nazareth» ha concluso il vescovo, «ma anche la consapevolezza che il cielo è ormai aperto e che Dio viene senza che noi si debba scalare i cieli. Basta renderlo accessibile alla nostra vita di ogni giorno. Per sentirsi finalmente figli prediletti. Non figli di un dio minore».

Foto di Massimo Renzi.