Caritas: con le porte aperte

Prosegue il nostro viaggio all’interno della Caritas diocesana. Questa settimana abbiamo incontrato Antonella Liorni, che insieme a Francesca Dinelli è responsabile per la Caritas Diocesana del progetto “Sprar” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).

La Caritas ha scelto di dare attuazione a questo progetto di accoglienza seguendo i valori, che da sempre la ispirano, di vicinanza alle persone, di testimonianza e di condivisione.

Antonella, in cosa consiste il vostro lavoro?

Il progetto è finalizzato all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Si tratta di una “accoglienza integrata”: oltre a fornire vitto e alloggio, provvediamo alla realizzazione di percorsi individuali di inserimento sociale, che comprendo attività indirizzate alla conoscenza del territorio e all’effettivo accesso ai servizi locali, compresa l’assistenza socio-sanitaria. Inoltre provvediamo ad attività che facilitano l’apprendimento della lingua e degli usi italiani. E ovviamente non mancano percorsi di orientamento al lavoro.

Che percentuale di successo avete?

Direi che l’esperienza è positiva. Da quando esistiamo abbiamo ospitato 60 persone con il sistema del turn-over. In pratica disponiamo di alloggi per 15 persone. Mano a mano che i nostri ospiti diventano autonomi e trovano una sistemazione si liberano posti e possiamo accogliere nuove persone.

Che tipo di soluzioni trovano i rifugiati a Rieti?

Gli uomini di solito finiscono per impegnarsi nel campo della ristorazione, oppure nell’edilizia, e nel facchinaggio. Le donne più spesso nel settore dell’assistenza.

E gli impieghi sono stabili?

Più si va a vanti e più è difficile. Oggi anche questi percorsi di integrazione e lavoro trovano ostacoli a causa della crisi. In generale, però, i tipici settori di inserimento dei rifugiati risentono meno del contesto economico. Nel settore dell’assistenza e delle badanti, ad esempio, c’è stata una flessione delle richieste, ma la misura è minore rispetto ad altri tipi di attività.

Quale è la provenienza degli ospiti della Caritas?

Al momento sono soprattutto africani: provengono dall’Etiopia, dall’Eritrea, dal Ghana, dal Benin, dalla Nigeria e dalla Costa d’Avorio. Negli anni precedenti sono passati da noi anche somali e afghani. I flussi ovviamente variano in base alle crisi geopolitiche: sono molto giovani, tra i 18 e i 25 anni, per lo più maschi e scappano da situazioni di persecuzione o di guerra.

E come arrivano a voi?

Beh, se pensiamo al percorso che hanno fatto dal loro Paese al nostro, dobbiamo dire che arrivano attraverso percorsi drammatici e traumatici. Ognuno porta con sé storie di violenza e ingiustizia, anche difficili da raccontare. Dal punto di vista interno invece, una volta riconosciuto il loro status di rifugiato o richiedente asilo, raggiungono i vari centri “Sprar” attraverso l’interessamento del Ministero dell’Interno e dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani).

Quindi c’è una stretta collaborazione con gli enti locali…

Certo! Abbiamo una stretta collaborazione con il Comune di Rieti ed il settore dei Servizi Sociali. In effetti il progetto è del Comune, ma viene gestito in convenzione dalla Caritas.

E i rifugiati come si trovano a Rieti?

Per la verità dicono di trovarsi molto bene. La nostra è una città piccola. Il razzismo non si sente un granché e alla fine è facile conoscersi un po’ tutti. Rispetto ad altre realtà più grandi il clima umano è favorevole e risulta più facile strutturare rapporti sociali e umani.

Alla fine ne risulta anche un utile stimolo culturale…

Sì. Del resto il nostro lavoro consiste anche nel diffondere la consapevolezza del problema. Cerchiamo di far conoscere il progetto con varie attività rivolte al pubblico. Abbiamo presentato a marzo un libro sui 20 anni di storia dei rifugiati in Italia. Per l’occasione abbiamo coinvolto le scolaresche e questa partecipazione è stata attiva. Anche il corpo insegnante ha capito il valore dell’iniziativa e siamo stati invitati a replicare l’evento anche in alcune scuole.

Ovviamente l’integrazione non si può fare trattando gli ambiti come compartimenti stagni…

Infatti. Sempre nelle scuole, ad esempio, proponiamo laboratori sul diritto d’asilo e sui conflitti dimenticati. La conoscenza è l’unica strategia che permette di sconfiggere la solita retorica degli stranieri che vengono a rubare il lavoro. Le storie vive distruggono gli stereotipi e aiutano a ritrovare l’uomo e a darsi la mano. Era un po’ l’invito che abbiamo fatto alla città il 21 marzo scorso con la catena umana contro il razzismo che si è stretta tra la piazza del Comune e via Roma.

So che per il 23 giugno avete in programma un’altra iniziativa.

È vero. Insieme all’associazione “Teatro Alchemico” abbiamo realizzato un laboratorio teatrale con i nostri rifugiati. Una esperienza che però è stata aperta a tutti, anche ai giovani italiani. È molto bello e straordinariamente interessante vedere culture diverse lavorare insieme e integrarsi per risolvere problemi. Il 23 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, all’Auditorium Varrone alle ore 18 si terrà lo spettacolo vero e proprio, e ovviamente sono tutti invitati.