Cammini di fede e marketing territoriale

Santuario de "La Foresta", Statua di San Francesco

Come cittadini della “Valle Santa”, sentiamo continuamente riproposta l’idea di potenziare, valorizzare e approfondire i percorsi del “Cammino di Francesco”. In questo c’è ovviamente una opportunità spirituale. Ma c’è anche l’idea di un solido interesse commerciale.

Come argomento a sostegno dei vantaggi di questo approccio, si porta sempre più spesso il “Camino de Santiago de Compostela”. Non sempre si fanno i dovuti distinguo, ma questo poco importa. Ai più, l’idea che un modello ben funzionante fuori da Rieti possa essere importato di peso, basta per giustificare il discorso.

Che dire: è vero che disponiamo di una tradizione francescana autentica ed anche piuttosto radicata. Ma proprio per questo dovremmo anche guardare al modo in cui questo fenomeno si è prodotto, su quali basi si è retto il francescanesimo locale. Senza un minimo presupposto di autenticità, i tentativi di commercializzazione, di marketing del fenomeno religioso, rischiano di fallire miseramente.

Del resto se i nostri sentieri non richiamano milioni di visitatori ogni anno un motivo ci dovrà pur essere. E sarebbe troppo facile credere che dipenda da una scarsa promozione, da un deficit mediale. Non sarà piuttosto che per replicare – sia pure in scala – il successo di una tradizione secolare, l’unico modo sia quello di… disporre di una tradizione secolare?

Forse ci sbagliamo, ma questi sono i pensieri che ci sono venuti ascoltando l’esperienza di chi a Santiago ci è andato per davvero, e mettendo un piede appresso all’altro.

La scorsa settimana, infatti, per la WebTv di Frontiera abbiamo realizzato un video con Pacifico Fioravanti e Luigi Raccuini, due “pionieri” dell’esperienza di Santiago de Compostela, almeno per la nostra città.

Al di là delle motivazioni personali, dal racconto è emerso che la forza del “Camino” è una organizzazione semplice ma efficace, praticamente spontanea, perfettamente integrata allo stile di vita dei luoghi attraversati dal pellegrinaggio.

I timbri sulla “credenziale”, i vari segni del percorso, l’accoglienza che si trova nei vari paesi, persino le piaghe che inevitabilmente si producono camminando per circa un mese, sono un modo di essere, una identità. Qualcosa che nessuna operazione di marketing territoriale, per quanto ben fatta e azzeccata potrà mai produrre.

Certo, possiamo inserirci in grandi circuiti internazionali, lavorare per farci conoscere, “far vedere la mercanzia”: tutto fa brodo. Ma se proprio vogliamo trasformare la fede in un business, proviamo a vedere con quanta autenticità la viviamo, e a trovare in questo qualcosa che possa giustificare la visita di un turista presso i nostri santuari.

One thought on “Cammini di fede e marketing territoriale”

  1. Niccolò Eusepi

    Articolo problematico ma molto stimolante e ampiamente condivisibile: trovo stucchevole lo sbandieramento di grandi iniziative di promozione della Valle Santa fatta da politici che scambiano la ‘Via Franchigena’ con il percorso di Francesco, gente che nulla ha a che vedere con il grande mistero della fede. E’ bene alzare un pò il livello del discorso.

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