Benvenuti nell’Italia 2.0

Ne sarà sicuramente compiaciuto il giovane Tancredi – campione di corsa sul posto -, alla fine tutto è rimasto com’era. Anzi, il vecchio è molto più forte oggi di ieri, perché col nuovo si è confrontato e l’ha spuntata. Abbastanza forte da poter affermare che metterà in atto i cambiamenti necessari ed essere creduto.

Benvenuti nell’Italia 2.0: l’antico che datosi una rinfrescata si ripropone come la più fresca delle novità. Un non-nuovo che ci vede ridotti a spettatori silenziosi e più o meno plaudenti di una politica che, non più ricerca del bene comune, si è ridotta ad una sorta di spettacolo televisivo dove tutto si esaurisce nel gioco (delle parti) tra la squadra rossa e la squadra blu.

Non sorprende che quando sulla scena si è affacciato qualcuno con una vaga parvenza di fresco, si siano messi in moto dei sussurri infiniti che hanno scosso trasversalmente la coscienza di una politica dormiente; conquistando consenso all’interno del proprio schieramento e guadagnandosi il tifo dell’altra parte, neanche fosse spinta da chissà quale pulsione di “morte”. Fatalmente ciò che lo rende gradevole all’esterno, provoca una sorta di sindrome da rigetto all’interno del proprio contesto, che non lo sente completamente organico.

Il Paese, nella sua accezione più vasta e meno ideologizzata ha, naturalmente, accolto bene e accompagnato l’ascesa di Matteo Renzi, poiché ha visto in lui la possibilità di uscire da questo sistema retto da due colori che, parlando di sé stessi e su sé stessi, hanno distolto lo sguardo delle istituzioni dalle questioni della gente. La dimostrazione di questa benevolenza è testimoniata dall’attenzione rivolta alle primarie del centro-sinistra, trasformate in evento.

Purtroppo la voglia di cambiare – non tanto le persone, quanto lo scenario della contesa – non è stato pienamente nelle corde dell’elettorato chiamato ad esprimersi: quello di Bersani, il compagno segretario, quello del rimprovero al sindaco fiorentino: «non riesce a pronunciare la parola destra», Orrore! Bersani, il vincitore.

Il problema, ora, è che un conto è vincere giocando in casa, un altro in un Paese che in questo momento non ha una grande considerazione della casta e che avrebbe visto, probabilmente, di buon occhio un candidato con l’ambizione di spostare la partita dal campo della destra contro sinistra a quello della politica contro la protesta. Non sia mai.

Conseguenza ineluttabile di questa situazione è la fine del possibile “disgelo” e, quanto è vero che un dinosauro chiama l’altro, ecco che anche nel campo – ora di nuovo – avverso riecheggiano voci che non sono echi lontani, ma stagionati, di ottima annata: 1994. È la tarda serata del 5 dicembre, quando cominciano a circolare queste parole dell’ex premier Silvio Berlusconi: «L’economia è allo stremo, un milione di disoccupati in più, il debito che aumenta, il potere d’acquisto che crolla, la pressione fiscale a livelli insopportabili. Le famiglie italiane angosciate perché non riescono a pagare l’Imu. Le imprese che chiudono, l’edilizia crollata, il mercato dell’auto distrutto. Non posso consentire che il mio Paese precipiti in una spirale recessiva senza fine. Non è più possibile andare avanti così. Sono queste le dolorose constatazioni che determineranno le scelte che tutti insieme assumeremo nei prossimi giorni». Ergo, ridiscende in campo.

Homo novus più che mai, lui che in materia di gioventù ha maturato un’esperienza lunga 76 anni. Eppure non molto tempo addietro, le sue parole erano state altre: «Pensavo di chiedere scusa agli italiani perché non ce l’ho fatta. La crisi ha cancellato i nostri sforzi anche se noi abbiamo lasciato la disoccupazione al punto più basso degli ultimi vent’anni. Abbiamo garantito la pace sociale negli anni più duri della crisi». Ma molto probabilmente non si tratta di parole sue, gli saranno state attribuite per sbaglio. Capita.

Insomma è il momento della disillusione, ed il merito è in buona parte di quei riformisti per definizione, conservatori dello status quo nella sostanza. Non ne facciamo una colpa a nessuno, è nella natura umana l’istinto di autoconservazione. Posti davanti alla vertigine, vicini alla possibilità di sgravarci dal peso del vecchio senso, istintivamente, ci siamo aggrappati al filo d’erba.