Rivoluzione gentile

Appunti per la rivoluzione: provare a essere gentili

Dei temi aperti dal forum sulla “rivoluzione gentile” è particolarmente interessante quello dell’Università da rimettere al centro. Della città in senso concreto, ma anche del modo di pensare più in generale, per fare leva sulla cultura e sull’educazione

Pare che nel momento in cui il popolo francese prendeva la Bastiglia, Luigi XVI ebbe a catalogare quei moti come una semplice rivolta. «No sire, è una rivoluzione», precisò il duca di La Rochefoucault. E la sua non era la pedanteria di un appassionato ai sinonimi. Perché la rivolta scoppia improvvisa, spesso per cause lievi, e il potere costituito fa presto a riportare l’ordine, soffocandola con la forza senza troppi complimenti. La rivoluzione, invece, ha un’incubazione lunga e cause profonde, e poi è irresistibile, non solo non si riesce a fermare, ma sposta tutto come un’onda.

La rivolta la sollevano i capipopolo, ma chi può vantare di aver promosso una rivoluzione? La rivolta segue un capo; la rivoluzione un’idea. Ci si ribella da soli o in pochi, mentre la rivoluzione la si fa in tanti. Trascorsa la rivolta, il mondo torna come prima; dopo una rivoluzione la vita non è più lo stessa. La ribellione vuole rovesciare un potere; la rivoluzione cambia l’ordine delle cose, modifica la coscienza, l’atteggiamento verso la realtà.
L’episodio di Luigi XVI me lo ha riportato alla mente il forum promosso da «Il Messaggero» e AR Foundation per fissare in un’agenda di impegni la “rivoluzione gentile” suggerita dal vescovo. E mi veniva da pensare che in fondo il re sulla presa della Bastiglia aveva ragione. A vederla da vicino doveva sembrare proprio una rivolta. E al solito i bempensanti avranno detto di questo o quel rivoltoso: «Ma do’ ba? Ma che vo fa? Ma chi se crede da esse?».

Me lo immagino per dire che i fatti trovano una collocazione solo alla fine e che le rivoluzioni non sono proprio facili da prevedere. Si possono però indovinare, se come il duca di La Rochefoucault ci si mette in ascolto di ciò che non appare. L’esigenza di determinati cambiamenti e la forza di alcuni argomenti sono nell’aria. Alcuni li fiutano prima, ma se parlano restano inascoltati. Presto o tardi, però, se ne rendono conto anche i più recalcitranti e i conservatori incalliti. Come nel piccolo caso della Ztl, definitivamente derubricata dalle cause di svuotamento nel centro storico. Anche i più miopi alla fine si riposizionano, si accorgono che il mondo è cambiato, che ci sono i centri commerciali, che internet ha rivoluzionato il commercio, le relazioni, l’informazione. Ad un certo punto sono cambiati anche loro, come tutti. Ci si alza la mattina e tutto è differente, come se ci fosse stato uno spostamento improvviso.

Lo stesso ragionamento si può fare per la “rivoluzione gentile”. Per capirci qualcosa bisogna verificare se è già sedimentata al di sotto della pigrizia, dell’inerzia, dello «staremo a vedere» dei reatini. Occorre sondare il quotidiano, collegare gli indizi, capire se alcuni fatti spontanei e isolati manifestano forze più profonde, se sono destinati a diventare cultura. Come nel caso della cura dell’ambiente: gli sforzi dei piccoli gruppi di volontari che caparbiamente ripuliscono quello che altri sporcano: attengono alla rivolta o alla rivoluzione?

Lasciamo la risposta in sospeso, ma di sicuro il mondo si cambia più con gli esempi e le azioni che con le opinioni. Soprattutto con le azioni negative: gli atti rivoluzionari negano l’abitudine, disubbidiscono al senso comune. E non è che siano in tanti oggi ad andare a pulire i bordi delle strade. Sono certamente ancora di più quelli che gettano le cartacce e non se ne vergognano affatto. Se però non è più ovvia l’indifferenza generale alla sporcizia, vuol dire che qualcosa si muove nell’intimo della società, che si sente l’esigenza del miglioramento, che forse si prepara davvero una qualche rivoluzione.

Dei temi aperti dal forum sulla “rivoluzione gentile” è particolarmente interessante quello dell’Università da rimettere al centro. Della città in senso concreto, ma anche del modo di pensare più in generale. Fare leva sulla cultura e sull’educazione, in anni in cui sono schifate e vilipese, in un tempo in cui il pensiero è visto come fumo negli occhi, nega uno schema, un modo di essere e di fare che ormai diamo per scontato. Con la maleducazione e la scorrettezza che imperano nelle piazze virtuali e in quelle reali, che divengono messa in scena, che sono assunte come linguaggio della politica, provatevi ad essere educati e “gentili”, e vi accorgerete di quanto sia rivoluzionario.