I semi di uno dei “tesori alimentari” della terra, il pomodoro “Varrone”, prodotto dal genetista marchigiano Nazareno Strampelli, sono gelosamente custoditi a San Pietroburgo (Russia) presso l’Istituto Vavilov per l’Industria Vegetale (Vavilov Research Institute of Plant Industry), noto anche con l’acronimo VIR e fondato nel 1921 da Nikolaj Ivanovič Vavilov, celebre agronomo, botanico e genetista russo.
Al VIR di San Pietroburgo, il “Varrone” è stato conservato continuativamente dal 1925, anno in cui furono registrati i semi, quasi certamente, inviati a Vavilov dallo stesso Strampelli (i due agronomi si conoscevano). L’istituto custodisce la più grande collezione di antiche varietà europee di piante coltivate, conservate sotto forma di centinaia di migliaia di semi. Si tratta di un tesoro genetico di grande valore perché custodisce semi dotati di proprietà uniche che potrebbero tornare utili per ottenere nuove varietà in grado di resistere ai cambiamenti climatici, ai parassiti e alla siccità dei nostri tempi.
Nazareno Strampelli non è, quindi, da ricordare soltanto come “il mago del grano”, ma anche come studioso di altre specie agricole come il pomodoro. Si deve a lui la messa a punto di due varietà di pomodoro da conserva: il “Varrone” e il “Fundania”. Di questi due prodotti, Nazareno Strampelli ha lasciato soltanto dei cenni sintetici in alcune sue pubblicazioni, trasferendo tuttavia la maggior parte delle informazioni ad altri agronomi della sua epoca impegnati nella ricerca e nella produzione di questo ortaggio.
Il pomodoro “Varrone” è nato verso la fine degli anni ‘10 del Novecento dall’incrocio tra il pomodoro “Sutton’s Best of All”, tollerante la siccità, e altre varietà italiane resistenti alla peronospora. Strampelli riuscì a selezionare una varietà resistente alle crittogame dotata di elevata adattabilità all’ambiente e altamente produttiva alla quale diede il nome di “Varrone”. Dopo alcuni anni di sperimentazione sia in ambiente irriguo (provincia di Parma) sia in ambiente caldo-arido (provincia di Bari), il “Varrone” entrò in coltura come varietà da industria per la produzione di conserva. Si trattava di una pianta resistente e molto produttiva: un frutto carnoso di circa sette centimetri di diametro con rese variabili dalle 30 alle 60 tonnellate per ettaro, apprezzato come varietà da conserva fino agli anni ’30, tanto da essere menzionato dall’Enciclopedia Treccani nella voce dedicata al pomodoro.
Nel tempo, la coltivazione del pomodoro “Varrone” venne sostituita, per motivi di produttività commerciale, da varietà nane da industria, certamente lontane dalle qualità del frutto prodotto da Nazareno Strampelli, dotato di pregevoli caratteristiche agro-botaniche. Nel 2015, grazie alle ricerche del biologo Sergio Salvi, i semi di questo prezioso pomodoro sono stati rintracciati nella banca del germoplasma del già menzionato Istituto Vavilov di San Pietroburgo e riportati in Italia grazie al coinvolgimento dell’Università Politecnica delle Marche, nella persona del professor Roberto Papa. Questi ricercatori, insieme ai colleghi Laura Nanni (Università Politecnica delle Marche), Giovanna Attene e Monica Rodriguez (Università di Sassari), hanno effettuato delle semine di prova, descrivendo i risultati ottenuti in un articolo pubblicato nel 2016, in occasione dei 150 anni dalla nascita di Strampelli, sul periodico “L’Informatore Agrario”.
I semi sono stati fatti germinare in scatole Petri, in seguito trasferiti in vaso ed esposti al sole per otto ore al giorno. Nelle Marche, ad agosto, sono comparse le prime fioriture, agli inizi di settembre i frutti, e alla fine di ottobre la maturazione era completa. A Sassari, si sono messe in pratica coltivazioni simili, tenendo conto delle diversità climatiche. Le caratteristiche dei pomodori così ottenuti, sono state messe a confronto con le descrizioni agro-botaniche pubblicate dagli esperti di agraria contemporanei di Strampelli, confermando che si trattava della stessa varietà creata quasi un secolo prima dal genetista. Un esempio di recupero e salvaguardia della biodiversità ed una bella conquista per la ricerca scientifica italiana, rivolta al recupero delle piante antiche che sono utili oggi più che mai.
I cambiamenti climatici ai quali siamo sottoposti ci obbligano, infatti, ad ampliare il numero delle varietà di piante coltivate, e il “Varrone”, sebbene abbia ormai perduto la resistenza alla peronospora (come ci si poteva attendere dopo un secolo di evoluzione dei ceppi del patogeno verso forme non più tollerabili da una pianta anch’essa centenaria), mantiene tuttavia intatta la sua capacità di tollerare la siccità. Questa caratteristica, osservata nel 2021 anche dal giardiniere dell’Orto dell’Infinito di Recanati, dove il “Varrone” era stato coltivato a scopo dimostrativo in vista delle Giornate FAI d’Autunno (il sito è il primo Bene marchigiano del Fondo Ambiente Italiano), può essere considerata come il punto di partenza di una nuova ed auspicabile fase di studio di questa varietà, nel solco della valorizzazione della diversità genetica e dei suoi potenziali utilizzi, soprattutto in epoca di cambiamento climatico. E come testardamente ha operato il genetista marchigiano nella ricerca dei suoi grani perché non riproporre, ancora testardamente, la ricerca sul pomodoro “Varrone”? Sarebbe un ulteriore riconoscimento all’opera del grande genetista, dimostrando che non va ricordato solo per la storia dei suoi grani ma anche perché la sua attività di ricerca è ancora viva ed attiva ai giorni nostri, in altre molteplici forme.
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