14. Octogesima Adveniens: Aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione. Le due forme di dignità e libertà dell’uomo

Terzo appuntamento relativo alla “Octogesima Adveniens” di papa Paolo VI.

Ciò che sorprende, ma forse non più di tanto, è il fatto che più ci si addentra nella lettura del documento che stiamo approfondendo, più si ritrovano indicazioni che possono essere tranquillamente attualizzate. Se infatti non fossimo consapevoli della datazione dello scritto, diverse e consistenti parti dello stesso potrebbero essere scambiate per indicazioni recentissime del magistero della Chiesa. «Creare impieghi» è uno dei messaggi forti che l’attuale Papa Benedetto XVI ha dato in questi giorni, è lo stesso messaggio di papa Paolo VI che sollecitava il risveglio della coscienza umana per un generale movimento di solidarietà da tradursi in una politica di investimenti, di organizzazione della produzione e della commerciabilità, nonché di formazione. «Se l’uomo si lascia superare e non prevede in tempo l’emergere delle nuove questioni sociali, queste diventeranno troppo gravi perché se ne possa sperare una soluzione pacifica». Oggi le scienze sociali non hanno certo problemi nell’identificare le questioni sociali presenti e future, ma il prezioso contributo che esse forniscono, quanto entra nei programmi politici e nelle scelte di governo dei potenti del mondo? Sembra più facile dare risposte di brevissima efficacia, inadatte a progettare un futuro per le prossime generazioni. Basta parlare del ritardo relativo alle energie rinnovabili o sull’uso di materiali ecocompatibili per capire la portata della denuncia. La questione della vera sensibilità al bene comune è quindi sempre e drammaticamente attuale. Uguaglianza e partecipazione: se fissassimo queste due coordinate a cui riportare le scelte in campo economico, sociale e culturale, ricorda Paolo VI, contribuiremmo a sviluppare e promuovere la dignità e la libertà dell’uomo. Anche l’idea di progresso supererebbe la riduttiva immagine che ne fornisce un orientamento basato solo ed esclusivamente sulle certezze date dal Positivismo; pur fornendo verità scientifiche e ritrovi tecnici e tecnologici, un tale orientamento non garantisce la felicità dell’uomo. È un altro quindi l’orizzonte a cui tendere: «Nell’insegnamento della carità, l’evangelo ci inculca il rispetto privilegiato dei poveri e della loro particolare situazione nella società: i più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più libertà i propri beni a servizio degli altri. In effetti, se al di là delle norme giuridiche manca un senso più profondo del rispetto e del servizio altrui, anche l’uguaglianza davanti alla legge potrà servire di alibi a evidenti discriminazioni, a sfruttamenti continuati, a disprezzi effettivi».

Il cristiano non può rimanere indifferente a questa affermazione, egli ha l’obbligo di partecipare e organizzare la vita politica e sociale per il riconoscimento dei diritti e doveri di tutti per il bene comune. Non è sufficiente soffermarsi sul povero, sarebbe un alibi poco convincente, ma riflettere anche sul ricco, diritti e doveri che qualificano un modo di essere specifico nel mondo in vista del bene comune. Si tratta di approfondire il modello di società che sta a cuore alla Chiesa e il Papa è chiarissimo in merito: «Così il cristiano che vuol vivere la sua fede in un’azione politica intesa come servizio, non può, senza contraddirsi, dare la propria adesione a sistemi ideologici che si oppongono radicalmente o su punti sostanziali alla sua fede e alla sua concezione dell’uomo: né all’ideologia marxista, al suo materialismo ateo, alla sua dialettica di violenza e al modo con cui essa riassorbe la libertà individuale nella collettività, negando insieme ogni trascendenza all’uomo e alla sua storia, personale e collettiva; né all’ideologia liberale che ritiene di esaltare la libertà individuale sottraendola a ogni limite, stimolandola con la ricerca esclusiva dell’interesse e del potere, e considerando la solidarietà sociale come conseguenza più o meno automatica delle iniziative individuali e non già quale scopo e criterio più vasto della validità dell’organizzazione sociale».