Verso Firenze 2015 / Uscire: dialogo con Laura Marignetti

Dei quattro delegati che, insieme al vescovo monsignor Pompili e al sacerdote delegato don Borrello, rappresenteranno la Chiesa reatina al convegno ecclesiale di Firenze l’unica rimasta fuori dalle video interviste – pubblicate in questo spazio a pochi giorni dall’avvio del convegno – è Laura Marignetti Simeoni. Più che giustificata, visto che si trova a Roma per il convegno nazionale del Seac su “Gli Stati Generali e le riforme: il ruolo del volontariato”. Il Seac è il Coordinamento Enti e Associazioni di volontariato penitenziario. L’ambito in cui Laura, fino alla primavera dello scorso anno alla guida della Consulta diocesana delle aggregazioni laicali, è attivamente impegnata.

Al di là dell’incarico diocesano “ufficiale” che ha ricoperto negli anni scorsi, la sua presenza tra i delegati a Firenze è nell’ottica, spiegata da don Fabrizio, di aver scelto, secondo le indicazioni venute dalla Cei alle diocesi, anziché persone con particolari cariche direttive nella Curia o nelle attività pastorali, esponenti di quella “Chiesa esperta in umanità” con esperienze di condivisione e di servizio che incarnano il Vangelo nell’umano.

E proprio il volontariato nella realtà del carcere vede impegnata ora la Marignetti, attiva nell’associazione Sesta Opera San Fedele: associazione, spiega, nata Rieti nel 2009 ma che «vanta una storia quasi centenaria, essendo stata fondata a Milano nel 1923 nella sede storica dei gesuiti milanesi (San Fedele), con le finalità, tra l’altro, di prestare assistenza morale e materiale ai detenuti, di aiutarne il reinserimento sociale e soprattutto di sviluppare e diffondere una cultura della giustizia inclusiva, anche attraverso l’organizzazione di eventi ponte tra le due città, dentro e fuori dal carcere». Proprio tale associazione ha dato vita nel 1967 (con Ac, vincenziani e altre realtà), al Seac, «prima forma di coordinamento permanente di volontariato carcerario, che a sua volta, in seguito, ha fondato, con Arci-ora d’aria e Caritas, la Conferenza Nazionale Volontariato giustizia, per dare vita a un organismo in grado promuovere politiche di giustizia attraverso un confronto diretto con le istituzioni».

Un’esperienza significativa, dunque, quella che Laura porta a Firenze: la presenza del volontariato cristiano in mezzo ai detenuti. L’associazione Sesta Opera (il nome è evidente riferimento alla sesta delle “opere di misericordia” derivanti dal capitolo 25 del vangelo di Matteo: il “visitare i carcerati”) è stata, spiega Laura, «tra gli artefici della svolta che, negli anni Settanta, ha segnato, per il volontariato, il passaggio dalla tradizionale funzione assistenziale-riparativa ad una funzione di prevenzione e promozione sociale, finalizzata non più soltanto a soccorrere i bisogni ma anche a rimuovere le cause del disagio e dell’esclusione sociale».

Delle cinque vie declinate dai rispettivi verbi in cui si articolano i lavori del Convegno, la Marignetti si troverà in particolare nel gruppo dedicato a “uscire”.

«Uscire è il primo dei cinque verbi pastorali proposti dal documento introduttivo (“la Traccia”) del Convegno, per indicare uno stile di Chiesa conforme all’umanità di Gesù. È anche il verbo posto al centro della riflessione nella esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii gaudium. La “Chiesa in uscita” è quella che sa “andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (per dirla con il n. 24 dell’esortazione apostolica). È la Chiesa che si pone in ascolto del mondo, proiettata verso le nuove periferie esistenziali».

E in tutto ciò l’esperienza del volontariato in carcere?

«Il carcere è molto più di una periferia. È un mondo che (anche per un malinteso senso di sicurezza) si tende a tenere completamente separato dalla città. E quel ponte tra le due città, che il volontariato è chiamato a rappresentare, noi volontari per primi talvolta lo attraversiamo con il peso dei nostri pregiudizi. Anche da questi siamo invitati ad uscire.

Il versetto evangelico al quale si ispira, peraltro, la nostra associazione (che rappresenta appunto la sesta opera di misericordia corporale), recita semplicemente: “…ero carcerato sei venuto a trovarmi…”.

Quando una storia si associa a un volto e a un nome e si ha modo di condividerne il disagio e la sofferenza, viene meno il pregiudizio. Non esiste una separazione tra buoni e cattivi, la realtà è ben più complessa e variegata: le vite che nascono in salita, gli incontri fatali, le scelte sbagliate. Niente esclude, tuttavia, la possibilità di tornare a scegliere il bene, anche con il sostegno di chi, facendosi portatore di un messaggio di speranza, può infondere il coraggio di cambiare, perché crede in questa possibilità.

Al cap.13 della Lettera agli Ebrei si legge:“Ricordatevi dei carcerati come se foste loro compagni di cella…”: è questo il segno (per usare le parole del Papa) di “un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come se stesso” (E.G. 199). Solo così possiamo percepire come insopportabili le condizioni di vita di tanti detenuti che ancora oggi, specie in alcune carceri, sopportano condizioni disumane e degradanti. Condizioni che hanno procurato al nostro paese le note condanne della Corte Europea dei Diritti Umani».

Anche a questo mondo così particolare la “Chiesa in uscita” vuole dire una parola di speranza, nello spirito di quella “umanizzazione” cara al tema di Firenze 2015.

«Nel quadro di questa emergenza nazionale restano centrali le drammatiche condizioni del sistema carcerario: una discarica umana dove la povertà, che rappresenta un ulteriore fattore discriminante, segna anche l’abisso tra i diritti sanciti e quelli tutelati. Buona parte della popolazione detenuta è oggi rappresentata da immigrati, tossicodipendenti e una varia umanità di persone socialmente sradicate, talvolta con problemi psichiatrici, in gran parte priva di risorse proprie, che non ha un futuro e non è in grado di costruirlo.

Il Giubileo si rivolge anche a loro, come scrive il Papa, parlando di “…tante persone che, pur meritevoli di pena, hanno tuttavia preso coscienza dell’ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società portando il loro contributo onesto….Nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’indulgenza e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto rappresentare per loro il passaggio della Porta Santa”».

Anche a Laura chiediamo con quali aspettative si appresta ad andare a Firenze e che cosa auspica possa ritornare alla realtà (ecclesiale e non) reatina…

«Si può senz’altro cogliere, nella impostazione di questo Convegno, un tentativo di cambiare rotta rispetto al passato, promuovendo un coinvolgimento diffuso delle diverse componenti ecclesiali, sia nella fase preparatoria dell’evento attraverso la nota “Traccia” (destinata ad arrivare, per quanto possibile, a tutte le realtà delle chiese locali), sia nella impostazione dialogante e non cattedratica del confronto che, all’interno dei gruppi di lavoro, si svilupperà in forma circolare a partire da piccoli nuclei di dieci delegati.

L’auspicio che mi sento, pertanto, di formulare è che si realizzi in primo luogo un proficuo lavoro di confronto generativo di proposte concrete, ma soprattutto che, attraverso una maggiore attenzione al “dopo convegno” se ne possa curare la ricaduta a livello locale verificando anche la ricezione dei suoi frutti e stimolando così il coinvolgimento anche di quelle realtà che, al momento, ne sono rimaste escluse».