Tanta partecipazione a Regina Pacis per la XXV Giornata mondiale del malato

Chiesa gremita, come sempre, il pomeriggio dell’undici febbraio, in quel di Regina Pacis, per il tradizionale appuntamento nel giorno che segna l’anniversario della prima apparizione di Maria a santa Bernadette Soubirous. Un appuntamento che esisteva sin dagli anni Settanta nella chiesa cittadina intitolata alla Regina della pace, organizzato congiuntamente dalla parrocchia con l’Unitalsi e l’Ufficio diocesano pellegrinaggi, e divenuto più “ufficiale” da 25 anni in qua con la consacrazione di tale data quale Giornata mondiale del malato per volontà del santo papa Giovanni Paolo II.

E in questo “anniversario d’argento” della Giornata, in sintonia con Lourdes dove se ne svolgeva la celebrazione internazionale con la presenza dell’inviato pontificio, la comunità ecclesiale reatina si è riunita nella parrocchiale di piazza Matteocci su invito della Pastorale della salute della diocesi, dopo l’appuntamento mattutino in ospedale, anch’esso denso di partecipazione. Al primo posto i malati e i disabili, assistiti da Unitalsi e Misericordie che hanno sfilato nella processione introitale con il vescovo e i sacerdoti.

Malati, volontari, devoti e pellegrini giunti dalle diverse parrocchie della città e della diocesi (immancabile il pullman dal Cicolano organizzato da don Daniele Muzi, che ha concelebrato con l’assistente Unitalsi don Franco Angelucci, il parroco ospitante don Ferdinando Tiburzi e altri presbiteri diocesani e francescani) partecipavano con ardore all’eucaristia in onore di Maria “salus infirmorum”. Per le letture, “anticipazione” di quelle della liturgia domenicale, con il brano evangelico della “nuova legge” di Gesù su cui monsignor Domenico Pompili ha improntato la sua omelia.

Un impegno all’autenticità e al “salto di livello” richiesto dal Cristo con la sua novità dell’«avete udito che fu scritto… ma io vi dico»: questa la riflessione del vescovo, che ha evidenziato le «parole taglienti» di Gesù su una giustizia che deve superare quella di scribi e farisei: loro eserano seri e scrupolosi, ma lui chiede «un livello ancora più alto che non la semplice osservanza delle norme. Gesù vuole che alziamo l’asticella e comprendiamo che le sue leggi ci devono portare ad essere sempre più attenti al cuore di ognuno di noi: il cuore di ciascuno è il “termometro”» della nostra adesione autentica a lui. Così, ha detto don Domenico, «“Non uccidere” non è semplicemente non fare come il coniuge disperato di Vasto che ha vendicato la moglie… Gesù dice di andare più a fondo ed esaminare il nostro cuore, perché esistono mille modi per uccidere: oggi per esempio, per i ragazzi ma non solo, il problema del linguaggio, sempre più arrogante, aggressivo, non solo sui social ma nella vita comune». E allora «“Non uccidere” non è semplicemente non farlo fisicamente: è non alimentare il pettegolezzo, la maldicenza, la parola cattiva», facendo attenzione «che quello che diciamo abbia la forma del rispetto dell’altro». Ugualmente, ha proseguito il presule, «“Non commettere adulterio” non significa semplicemente non tradire il proprio partner, ma qualcosa di più profondo: non immaginare l’altro come fosse un oggetto da manipolare a nostro piacimento». Anche il “Non giurare” raccomandato da Gesù «non significa semplicemente non spergiurare, ma che non dobbiamo usare Dio in modo strumentale solo perché la nostra parola è così scarsa di fondamento che dobbiamo fare riferimento a lui. La nostra parola è “sì, sì, no, no”, cioè dobbiamo venir fuori da quel “ni” che ci impedisce di prendere posizione perché abbiamo paura del giudizio degli altri, di quel che ci potrebbe accadere».

Dunque «Gesù ci sta in qualche modo dicendo che la legge che ci è data non va osservata al minimo ma deve essere interpretata alla radice. Per capire bene la legge di Dio il nostro cuore più che con le norme deve misurarsi con Gesù, con il suo cuore, perché chi sta in contatto con Gesù ne risente, come chi sta in faccia al sole ne riverbera i raggi solari». Di qui l’invito a farsi guidare, in questa operazione di “illuminazione”, da Maria: è lei, ha detto Pompili, «che più di altri ha contemplato il volto di Gesù e con lei capiamo meglio che cosa significa vivere il Vangelo. E vogliamo farlo ancora di più riguardo questa questione che è la salute, un bene che riguarda da tutti, non può essere ridotta a una questione sociale o economica». La salute è un bene prezioso, e «alla salute di ciascuno dobbiamo tendere tutti, rispettando il cuore della legge di Dio che è sempre in funzione della vita e della felicità». Il vescovo ha concluso l’omelia invitando a pregare Maria, «che ha custodito la salute del suo figlio Gesù, che ha però anche purtroppo sofferto terribilmente dinanzi al corpo martoriato del figlio», affinché «ci insegni a far crescere la salute, a rispettare la salute e a custodirla quando, per tante ragioni, viene meno. La sua tenerezza sia anche la nostra».

E invocando la sua materna intercessione, si è innalzata la preghiera, senza dimenticare chi non c’è più, come il compianto don Luigi Bardotti che di questa celebrazione lourdiana per quarant’anni era stato l’anima: non è mancata un’intenzione particolare, nella preghiera dei fedeli, per lui «che per il primo anno vive con noi questo momento di fede guardandoci dal cielo».

Il pensiero è andato a lui in particolare durante la processione eucaristica che è seguita alla Messa, ricordando quando guidava la preghiera innalzando le classiche acclamazioni tipiche delle processioni nell’ésplanade di Lourdes. Con canti e preghiere, tutti i partecipanti hanno sfilato nel portare il Santissimo Sacramento nelle strade attorno al complesso parrocchiale, per poi rientrare e concludere con la preghiera di adorazione conclusiva, la benedizione eucaristica e il suggestivo canto dell’Ave di Lourdes caratterizzato, come nel santuario francese, dal tenere in alto i flambeaux accesi durante il ritornello.