“Gioco d’azzardo e mitomania”: interessante l’indagine proposta da Comunità Emmanuel e casa editrice Armarganta

Sabato 11 febbraio, professori e studenti di varie facoltà hanno partecipato al convegno di psicologia “Gioco d’azzardo e mitomania”, svolto presso la Biblioteca Comunale Paroniana e organizzato dalla Comunità Emmanuel e dalla casa editrice Armarganta.

Introducendo a “L’era del gioco d’azzardo”, il dott. Luca Urbano Blasetti della Comunità Emmanuel ha tracciato i contorni del tema delle dipendenze. L’aspetto patologico, ha spiegato il relatore, non consiste in un particolare comportamento, ma dipende dal «dosaggio». Come già intuì Paracelso, solo quando un dato comportamento diventa dominante assume il carattere della malattia. In certi casi, infatti, «dipendere ci salva», come avviene per il bambino che dipende completamente dai genitori. Il male si manifesta quando la dipendenza assorbe tutte le nostre energie.

Un ragionamento che vale anche per il gioco. Esso, normalmente. è un ponte tra realtà e immaginazione e costituisce un passaggio fondamentale per l’apprendimento. Degenera in psicosi quando porta ad una negazione della realtà.

Il tema è di particolare attualità. Non solo per l’ampia diffusione delle ludopatie, ma perché può essere assunto come punto di vista sul tempo presente. La nostra libertà di scelta che distingue la nostra epoca si traduce troppo spesso in azzardo. O, meno filosoficamente, perché la precarietà di vita di ampie fasce della popolazione costituisce a sua volta un fattore di rischio per le dipendenze.

Più nello specifico è andato il dott. Claudio Leonardi, che è entrato nel merito delle “Basi neurobiologiche del gioco d’azzardo patologico”, anche indicando alcune modalità di intervento. Va premesso che la malattia non è legata all’assunzione di sostanze, e dunque non esistono rimedi come il metadone. Il dato accomuna in generale tutte le new addiction – quali ad esempio sono le dipendenze da shopping, da sesso e da internet – e fonda la necessità di un percorso terapeutico diverso, di tipo comunitario.

La conoscenza della biologia delle dipendenze consiglia infatti l’eliminazione progressiva delle connessioni neurali legate al piacere offerto dalla dipendenza stessa. Dal punto di vista pratico, il paziente non può semplicemente limitarsi ad abbandonare l’oggetto della dipendenza. Il vizio, che gli serve per stare meno male, deve lasciare posto ad una ricostruita normalità rispetto alla capacità di provare piacere. Una volta descritti i più importati fattori di rischio (individuali, sociali e biologici), il dott. Leonardi ha richiamato la necessità di una formazione specifica per gli operatori che lavorano sul fenomeno del gioco d’azzardo patologico.

Il terzo tema trattato “Il gioco d’azzardo patologico tra ubris e impotenza” è stato affrontato dal prof. Amato Fargnoli. Esplicito il richiamo ad aspetti della mitologia greca: la ubris, spesso tradotta con tracotanza, ha a che fare con la disobbedienza agli dei. Immedesimandosi nell’eroe, tramite la vincita il tossicodipendente intende ottenere un grande risultato, ma al prezzo di un piccolo sforzo. Tutti gli eroi hanno però un tallone d’Achille: la vendetta degli dei. Il gioco, da «ammortizzatore di vissuti ed emozioni negativi», si ritorce contro il giocatore aggravando la sua situazione. In qualche modo il gioco d’azzardo tacita «l’angoscia e lo scacco dell’impotenza» che altrimenti verrebbero chiaramente percepiti, anche se, per usare le parole di Nietzsche, «se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te».

Dopo una breve pausa caffè, il dott. Mauro Selis ha presentato il testo il testo La posta in palio (Amarganta). Nella prima parte il libro affronta la storia del gioco d’azzardo con un attenzione particolare a come la letteratura lo ha descritto nel corso dei secoli, dall’antichità a Dostoevskij passando per Goldoni. Seguono 5 storie romanzate che prendono ispirazione da casi reali. Si fa così la conoscenza dello “slottaro”, della “gattara grattara” e del “giocatore poliedrico” che scommette su tutto. A ogni racconto corrisponde un diverso aspetto della complessa natura del gioco d’azzardo patologico.

A seguire la dott.ssa Paiella dello Sprar ha indagato il tema “Il gioco d’azzardo nei percorsi di integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati”. Dopo una breve presentazione delle prove che devono superare i migranti per arrivare nel nostro paese, ha evidenziato i molti elementi di rischio legati al gioco d’azzardo patologico. La precarietà esistenziale soprattutto, ma anche il bisogno di dimostrare qualcosa ai parenti rimasti nel paese d’origine e che spesso hanno investito molto su di loro. La frustrazione nell’affrontare il lungo processo di integrazione e la solitudine talvolta portano i migranti a tentare un rapido e facile guadagno nel gioco d’azzardo. A questo si aggiunge anche il fattore religioso, il pensare «se Dio vorrà (inshallah) vincerò». Il fenomeno è ancora sommerso e mancano soluzioni specifiche.

L’ultimo intervento è dedicato alla presentazione del volume: Prospettive cliniche nella dipendenza e tossicodipendenza. Simboli e immaginari. Il dott. Riccardo Brignoli ha illustrato le tematiche affrontate in un testo che si basa sulla psicologia analitica archetipica, disciplina che si richiama soprattutto a Jung e Hillman. «Le persone normali hanno tutte le patologie» dichiara Brignoli, sottolineando che soltanto quando domina “un’immagine” c’è squilibrio. Nel volume si affrontano simboli, mitologia e anche dimensione evolutiva delle dipendenze oltre naturalmente a storie cliniche. Un utile strumento per studenti e professionisti che operano sul campo.

Nel complesso una giornata che spicca per profondità e varietà negli approcci di studio. Il fenomeno del gioco d’azzardo patologico non è una semplice sfumatura del degrado urbano, ma una patologia grave che colpisce sempre più persone e necessità di approcci terapeutici specifici. E non c’è bisogno di scommetterci.