4. “Mater et Magistra”: punto di riferimento per la Dottrina sociale negli anni ‘60

Sono pressoché unanimi i giudizi sull’Enciclica che Giovanni XXIII promulgò nel 1961. Il mondo era cambiato: all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale si vedevano chiaramente gli effetti del nuovo ordine economico e politico sull’intera umanità. Ecco quindi tutto il valore e il peso delle indicazioni profetiche del Papa: interpretare il cambiamento alla luce dell’insegnamento evangelico, segnando ancora una svolta nel modo di pensare e vedere le questioni sociali. L’Enciclica, dopo una significativa introduzione, da una parte ritorna, precisa e sviluppa numerosi temi sollevati dalla Rerum Novarum e dalla Quadragesimo anno, dall’altra permette di respirare e cogliere elementi di novità e fiducia che in qualche modo hanno fatto pregustare il senso e il clima di quel grande evento ecclesiale per la Chiesa e per il mondo che fu il Concilio Vaticano II. Con grande pena dello scrivente, per la doverosa operazione di sintesi, il valore dell’Enciclica potrebbe rintracciarsi nei punti di seguito esposti. Il principio di sussidiarietà, ricordato come cardine dell’ordine sociale, non può essere evocato solo quando è possibile e facile concretizzarlo, ma deve essere ancor più ricercato e attuato proprio dove le difficoltà e i bisogni sono più acuti, senza ritirarsi in buon ordine di fronte alla complessità dei fenomeni sociali ed economici. Si tratta di porre l’attenzione sullo smascheramento di questa tentazione in nome di una sussidiarietà della quale non si accettano fino in fondo le responsabilità individuali e collettive. In questa direzione è chiaro che la funzione dello Stato deve essere guardata e interpretata con grande attenzione. Il superamento di una visione “pericolosa” dello Stato è certamente un’indicazione importante che Giovanni XXIII rivolge al mondo cattolico: lo “Stato sociale” interviene in settori delicati relativi alle esigenze delle persone, favorendo la partecipazione solidale. È quindi tempo di abbandonare la paura dell’ingerenza dello Stato, paura “pre-bellica”, i tempi sono cambiati e il bene comune si ricerca mettendo in campo tutte le forze buone di cui la società dispone. Un passo avanti considerevole. Lo Stato però non deve ritirarsi di fronte a difficoltà di bilancio o di altra natura, magari legate alla criminalità, in tal caso non solo si moltiplicano di più le carenze ma vengono lesi i diritti. La sfida è chiara: lo Stato faccia fino in fondo il suo “mestiere”, il servizio all’uomo nel rispetto di tutte le sue dimensioni esistenziali e in vista quindi del bene comune. Lo Stato non può quindi rimanere assente nel mondo economico a beneficio dei potenti e dei forti, come nel campo della sanità, in quello educativo e nell’istruzione. Anche la comunità cristiana deve essere attenta a non sostituirsi allo Stato ma essere sempre pronta e in grado di sollecitare la collaborazione. Uno Stato è forte se difende i cittadini più deboli, se riduce gli squilibri tra diversi settori produttivi, se stimola la produzione di beni e servizi in modo che tutti possano goderne. Il Pubblico potere è chiamato quindi ad esprimersi nel rispetto del principio di sussidiarietà e intervenendo nella divisione e distribuzione del lavoro. Il lavoro stesso è un tema centrale dell’Enciclica.

Esso viene prima del capitale e si sottolinea come sia espressione di civiltà contare più sul lavoro come espressione di reddito e fonte di diritti piuttosto che sul capitale. La tutela delle piccole e delle grandi imprese e la valorizzazione dei sindacati e delle associazioni di categoria nonché di tutte le forme di partecipazione attiva dei lavoratori nell’impresa, sono alcuni dei passaggi centrali dell’Enciclica sempre attuali. L’agricoltura, con la sua deprimente fuga di lavoratori dalle campagne, è una preoccupazione forte nel pensiero di Giovanni XXIII. Egli parla di questo settore con grande stima e affetto, perché ricco di valori e allo stesso tempo povero economicamente. Un settore essenziale per la vita di tutti ma che riceve poco sostegno nel confronto con altri settori produttivi. Una politica attenta all’armonico e solidale sviluppo di tutti i settori produttivi è la strada che viene indicata con forza sia a livello nazionale che internazionale, con riflessi anche nell’imposizione tributaria proporzionata alle capacità contributive dei cittadini. La formazione al lavoro e l’importanza del giorno del Signore nell’ambito della vita di un lavoratore, chiudono l’Enciclica ma è del tutto evidente l’enorme portata profetica di questi ultimi temi, oggi sotto gli occhi di tutti.