Se giochi, non essere la posta in gioco

Una partitella. No, non è mai solo una partita, e sempre più spesso persone normalissime si fanno trascinare dal vortice del gioco. Ludopatia, dipendenza da gioco compulsivo. Che sia di “carta” o virtuale poco importa. È ormai una questione sociale con cui fare i conti.

Trattiamo l’argomento prendendo spunto del fatto che l’Assessorato alle Politiche Socio-sanitarie ha aperto uno “Sportello per la Ludopatia e altre dipendenze”. Per averne maggiori dettagli dell’iniziativa rimandiamo ai siti istituzionali. L’apertura di per sé significa che il fenomeno è rilevante, ma vuol dire anche che sta iniziando ad essere affrontato con strutture e politiche mirate.

Come tutti i fatti sociali anche la dipendenza dal gioco d’azzardo presenta mille sfaccettature e molti fattori da valutare. Qui ci interessa esprimere qualche considerazione generale, dalla nostra prospettiva di quasi assoluti non giocatori.

E proprio il termine ci dà lo spunto per dire che il gioco è altro. I bambini giocano, chi si diverte gioca, la vita sotto certi aspetti è tutta un gioco. Ma se qualcosa è fuori dal proprio controllo e ci sovrasta non si sta giocando si “è giocati”, si diventa un dado nelle mani della dipendenza.

Ma ancora più insidiosa è l’idea che si ha del giocatore come “campione” del tavolo o super-esperto delle scommesse. Se la cronaca ci ha aiutato a cancellare l’immagine del mafioso come uomo d’onore, con i boss reclusi in squallidi bunker sotterranei, così bisogna abbandonare l’aspetto romantico del giocatore. Non solo si perde tempo e soldi giocando, ma si diventa anche ridicoli. Se potesse vedersi giocare come dall’esterno, il giocatore scoppierebbe a ridere; e poi a piangere magari, pensando a quello che ha “perso”. Se stesso.