Migrazioni: una sfida alla crisi. Oltre 4 milioni gli asiatici nell’Ue, 700 mila in Italia

Sono 4 milioni e 100 mila gli immigrati asiatici nell’Unione europea, cifre in costante aumento, con una grande differenziazione delle provenienze.

Uno su 5 risiede in Germania (873.000), seguita da Regno Unito (689.000), Italia (687.000) e Spagna (334.000). Vengono soprattutto da Cina (676.000 pari al 16,3% delle presenze asiatiche), India (439.000 pari al 10,6%), Pakistan (291.000, pari al 7,0%), Filippine (261.000, pari al 6,3%, la maggior parte vive in Italia). La panoramica sulla presenza asiatica in Europa e in Italia è stata tracciata oggi a Manila da Antonio Ricci, del Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes, durante la seconda giornata dei lavori del viaggio-studio sul tema “Asia-Italia: scenari migratori”, in corso fino al 20 gennaio nella capitale filippina, con la partecipazione di una trentina di esperti italiani e filippini.

Italia, asiatici resistono meglio a impatto crisi.

Gli immigrati asiatici non hanno risentito molto dell’impatto della crisi economica in Italia, ma peggiorano le condizioni lavorative. Nel biennio 2008-2010 l’occupazione asiatica nel lavoro dipendente è cresciuta del 20%, a fronte di un aumento dell’immigrazione del 4,5%. Nel 2010 la differenza tra assunti e cessati è solo di meno 110 occupati, quindi c’è una sostanziale tenuta dell’occupazione. Lo ha detto Maria Paola Nanni, del Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes. Analizzando i dati Inail risulta che nel biennio della crisi erano 435.830 gli occupati di origine asiatica (nel 2010 il 13,9% di tutti i lavoratori immigrati). A fronte di un calo di occupazione, tra gli italiani, di 750.000 posti di lavoro. “È un’occupazione che sfida la crisi – ha osservato Nanni – e risente poco della congiuntura negativa”. Gli asiatici sono occupati soprattutto nel terziario (59,5%), un settore che dà lavoro al 63,6% dei bangladesi (in alberghi, ristoranti e nel commercio), al 29,3% degli srilankesi e al 37,7% dei filippini nella collaborazione domestica. L’industria occupa il 30,1% degli asiatici, i pakistani e i bangladesi lavorano nella metalmeccanica e nell’edilizia, i cinesi nel tessile e conciario. L’agricoltura offre solo il 6,1% dei posti di lavoro, ma occupa il 25% degli indiani.

Più cinesi in Italia.

L’Italia è anche il Paese europeo con la più alta presenza di immigrati cinesi: 188.352 su un totale di 700 mila residenti nell’Unione europea (dati Eurostat, 31 dicembre 2009). Un’immigrazione con luci e ombre, che ha consentito d’inviare in patria dall’Italia come rimesse, 1.770 milioni di euro (nel 2010), un dato in continua crescita. Da sfatare alcuni pregiudizi: non è vero che i “cinesi non muoiono mai”, che i cinesi dispongono di tanti contanti perché legati ad attività criminali e che stanno “invadendo” il mondo. È quanto emerge da un accurato studio di Antonio Ricci, Franco Pittau e Luca Di Sciullo, redattori del Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes. Se è vero che l’inserimento nella società a volte “non è del tutto soddisfacente” per alcuni casi di attività illegali e lo smercio di merci contraffatte e la chiusura culturale, anche gli italiani guardano ai cinesi con un misto “d’interesse e di paura”. Ogni 10 presenze cinesi in Italia, poco meno di 6 stanno nel Nord e quasi 3 nel Centro. Ad ogni 4 lavoratori cinesi occupati (123.072, di cui il 53,7% nell’industria), corrisponde un imprenditore cinese. I cinesi sono concentrati nella fascia di età tra i 25 e i 40 anni, equamente distribuita tra maschi e femmine.

I pregiudizi.

Trattandosi di giovani, i tassi di mortalità sono bassi e annualmente sono poche decine i casi di decesso. “Ma quando muoiono – ha precisato Ricci – i cinesi sono seppelliti nei cimiteri italiani o trasportati in patria. Non trova, quindi un supporto statistico la credenza secondo la quale i cinesi non morirebbero mai, nel senso che i documenti del defunto verrebbero ceduti a un connazionale in posizione irregolare”. Tra i pregiudizi, il fatto che i cinesi abbiano una forte disponibilità di contanti perché legati alla criminalità organizzata. “Spesso – precisa Pittau – questo fatto è motivato da una forte solidarietà reciproca: per acquisire i capitali necessari per le iniziative imprenditoriali, i cinesi si avvalgono della rete dei connazionali basata sull’amicizia, sulla reciproca fiducia, abnegazione e condivisione anche dei beni”. Il matrimonio, ad esempio, “consente spesso alla coppia di raccogliere la somma necessaria per avviare un’azienda o anche per comprare casa”. La presenza dei cinesi nel mondo (34 milioni, di cui 28 milioni in Asia), “pur non essendo trascurabile”, non è una “invasione”. “Se si considerano la bassa fertilità della Cina – ha concluso –, l’invecchiamento della popolazione e lo straordinario sviluppo economico, diventerà un grande polo d’immigrazione”.