La domanda che vale sempre: «Chi è Gesù per me?»

«Gesù non ama i sondaggi come certuni che al mattino consultano il grado di gradimento popolare e in base ai riscontri decidono il da farsi. Lui se ne infischia della popolarità, ma ci tiene a che ciascuno prenda posizione di fronte a lui. Per questo incalza i suoi discepoli perché passino da una generica opinione ad una personale convinzione».

Commentando il Vangelo della domenica a Leonessa, in occasione dei festeggiamenti in onore di San Giuseppe, il vescovo Domenico ha rimesso al centro del discorso la domanda che «vale sempre»: “Chi è Gesù per me?”, precisando che «non sono ammesse risposte frettolose né tantomeno imparaticce» perché «questa è la domanda da cui dipende tutto il resto». Dunque è preferibile «lasciar crescere in noi questa interrogazione» piuttosto che «accantonarla subito con una risposta preconfezionata, o addirittura, evitarla per non correrne il rischio».

Un rischio che rimane persino quando Pietro, «sotto l’ispirazione stessa di Dio», mette in chiaro la sola, la vera identità di Gesù: “Tu sei il Cristo”, «cioè tu sei il Messia atteso da sempre da Israele. Si capisce subito – ha sottolinato mons. Pompili – che la correttezza della risposta non corrisponde alla sua comprensione».

Ogni orizzonte umano, infatti, per quanto nobile, è un trovarsi nell’errore: Cristo è venuto a portare la salvezza eterna, non una dottrina per rendere più tollerabile la convivenza umana. Ma la prospettiva della felicità eterna apre anche redenzione di tutte le realtà terrene: “se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo la salverà”.

«Credere a chi sostiene che il fallimento e l’insuccesso accettati per amore possano essere una via di salvezza cozza contro il nostro istinto» riconosce il vescovo. «Ma qui Gesù lascia intendere che chi vuol stare con Dio e non si fa carico delle conseguenze del male e della sofferenza umana non può dirsi credente. Portare la croce non è solo accettare le nostre fatiche quotidiane, ma sentire come una responsabilità i problemi degli altri. Non bastano le parole di vicinanza, ci vogliono dei fatti, come suggerisce Giacomo nel frammento della sua lettera: “Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta”».

Una responsabilità che don Domenico ha riferito anche al dramma delle migrazioni, partendo dalla foto del poliziotto turco che raccoglie il corpo inerte del piccolo Aylan sul bagnasciuga di Bodrum, in Turchia, con l’invito a trovare forme di accoglienza che diano alla Fede la possibilità di tradursi in opere.

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Foto © Daniel e Daniela Rusnac.