La città sperimentale

Da qualche tempo la città di Rieti pare essersi trasformata in uno strano laboratorio. Nella sua depressione, oramai cronica, si direbbe riconosciuta la condizione ideale per sperimentare nuovi modi di tenere in piedi il sistema.

Diversamente non sapremmo spiegarci la presenza assidua dei massimi livelli dei partiti tra le nostre mura e il loro sguardo vigile sugli equilibri delle liste in corsa per le amministrative. E il Primo maggio verranno da noi pure i vertici del sindacato.

Viene quasi da inorgoglirsi. Tanta attenzione, tutto sommato, fa sentire importanti. Peccato non riuscire a togliersi dalla testa il sospetto di un inganno, di una qualche presa in giro. Questo spiegamento di forze ci vuole davvero venire in soccorso? Improbabile. Rimaniamo una realtà marginale, provinciale nel senso peggiore. Cosa sperano di cavare questi “poteri” dalle nostre cinquantamila povere anime, quindi, è difficile immaginarlo. Figurarsi dirlo!

In questa condizione diventa facile pensare al peggio. Chiediamo scusa allora se il nostro buon senso ci suggerisce di rimanere con i piedi per terra. Meglio accettare con scettica buona fede certe visite importanti e continuare a guardare con sano disincanto alla situazione.

Anche gli scandali che in questi giorni stanno investendo la politica, del resto, non sembrano spostare più di tanto gli equilibri. Le forze di destra, di centro e di sinistra si indignano per le ruberie al dettaglio della concorrenza parlamentare, è vero. Non le inquietano però certe gigantesche rapine ai danni di tutti i cittadini. Basta che ad operarle sia un bel Governo ultraliberista di bocconiani.

In Parlamento i maggiori partiti rimangono tutti insieme appassionatamente sotto la bandiera di Monti. Difficile che sul terreno locale si prendano il lusso di uno scontro epocale. In effetti, le liste che si confrontano alle amministrative si direbbero legate da un implicito patto consociativo. A ben vedere hanno in comune più di quello che ammetterebbero.

Tutte, ad esempio, si dicono decise a «ridare slancio» e «nuovo vigore» al territorio. Buone intenzioni, è vero. Ma assomigliano all’intento di chi è convinto di poter cavare il sangue dalle rape. La promessa di una ripresa e di una crescita della città, nelle condizioni attuali, pare poco più che uno slogan.

Le strategie hanno sfumature diverse, è vero, e qualcosa può funzionare meglio. Ma lo slancio degli anni ‘70 non lo ritroveremo mai. Mancano alcune condizioni di fondo: uno Stato che fa investimenti, tanto per cominciare. È vero che produce un po’ di deficit, ma rimette anche in moto l’economia. Se ne potrà ragionare? Occorrerebbe anche rianimare un modello di lavoro e di welfare ormai compromesso. Pure un po’ di la lotta di classe sarebbe utile. Se le classi subalterne non fossero in ginocchio, forse l’intera nazione sarebbe più vitale.

Comunque sia, le proposte nella contesa elettorale si riducono ormai tutte alla green economy e al turismo. Sono scelte più di necessità che di volontà. Potrebbero anche dare qualche buon risultato, ma per chi? A godere della crescita della ricchezza, di solito, sono soprattutto i ricchi! Si può tingere di verde la gabbia di una esistenza costruita sulla triade “lavoro–spendo–muoio”, ma con questo non si libera nessuno dall’oppressione e dalla depressione, né apre la strada a equità e giustizia sociale.

Il tema politico di oggi è tutto qui: verde o grigio che sia, il sistema attuale tende a far crescere soprattutto il numero di quelli che debbono lavorare a testa bassa tutta una vita per pochi spicci. Debbono trascurare affetti, inclinazioni, capacità e passioni per tirare a campare. Un sacrificio da cui deriva più precarietà che sicurezza, più amarezza che vera soddisfazione. E in vecchiaia non li aspetta neppure una magra pensione.

Ecco perché tutte le attenzioni che oggi vengono rivolte a Rieti hanno il sapore dell’inganno. Pare si vogliano risolvere i problemi creati dal modello di sviluppo turbo-capitalista con qualche correttivo ecologico e il favore dei tour operator. Un po’ poco per far fronte ad una crisi assai più seria, profonda, strutturale. Bisognerebbe piuttosto tentare con coraggio di ridiscutere tutto dalla radice.

Sono discorsi troppo faticosi e complicati per le orecchie di oggi? Può darsi. Si direbbe che pochi ormai li vogliano sentire. Di sicuro quasi nessuno li vuole più fare. Così è la vita!

Eppure quanto sarebbe interessante disporre almeno di una forza politica capace di essere più attenta all’autenticità del vivere che alla crescita del PIL. Sarebbe il partito di chi ha in programma di ricostruire la comunità come vera dimensione della vita pubblica, del welfare e del lavoro. Ma per il momento continuiamo a subire riforme peggiorative mentre ascoltiamo sirene ambientaliste troppo facili e dilettantesche.