L’Europa di Juncker: una visione che vale. Voltare pagina, oltre i populismi

Nel Discorso sullo stato dell’Unione il presidente della Commissione ha espresso un mix convincente di fierezza per quanto conseguito, di agenda per il presente e di ambiziose aperture per il futuro. Un percorso impegnativo, anche per rispondere alle spinte nazionaliste, che l’Ue non può più rimandare. Senza trascurare qualche nodo critico e omissione…

Il discorso di Jean-Claude Juncker sullo Stato dell’Unione, pronunciato il 13 settembre davanti al Parlamento europeo riunito a Strasburgo, va accolto con un forte plauso. Esprime un mix convincente di fierezza per quanto conseguito, di agenda per il presente e di ambiziose aperture per il futuro.
In un tempo in cui il quadro geopolitico che circonda l’Ue è sempre più problematico, ove restano le gravi conseguenze sociali della crisi economica, tensioni e divisioni, il presidente della Commissione registra che il vento è cambiato, la corsa folle delle spinte populiste e dei nazionalismi pur non risolta si è arrestata, i dati della crescita economica e della riduzione della disoccupazione sono i migliori degli ultimi nove anni,

aumenta la domanda convergente dei cittadini dell’Ue e delle forze sociali di più azioni, meno promesse e più risultati, più riforme, più futuro.

Juncker afferma che bisogna accelerare sulla rotta che si è intrapresa. È l’agenda fissata a Roma per il 60° anniversario dei Trattati e che ruota intorno a tre chiavi: un’Europa che cura e protegge, un’Europa che investe e apre nuove opportunità, un’Europa più assertiva sulla scena internazionale. Mantenere la rotta accelerandone la realizzazione significa una lista di misure legislative e di implementazione per l’ultimo anno e mezzo prima delle elezioni europee. Parlamento europeo e Governi dovranno fare la loro parte. Questa rotta è davvero capace di corrispondere alle domande dei cittadini e dimostrare che l’Europa serve.
Ma è la seconda parte del discorso di Juncker che merita maggiore attenzione: una appassionata visione per l’Europa. Perché

se il vento è cambiato, bisogna cogliere questa finestra di fiducia per prendere il largo

con decisione, fissando il quadro possibile di un’Europa più forte, più ambiziosa, più democratica, che guardi oltre le scadenze del 2019 (Brexit ed elezioni europee).

La proposta del suo “sesto scenario” per il futuro dell’Europa, basato sui concetti fondamentali di libertà, eguaglianza e ruolo della legge, è una operazione politica di respiro. L’Europa è prima di tutto una comunità di valori e di destino, dove l’eguaglianza tra Stati, cittadini, lavoratori, consumatori ha delle implicazioni molto concrete. Dove l’Europa come comunità di diritto, basata sulla forza della legge e dei suoi ordinamenti, non è una opzione “à la carte”, ma vincolo fondativo e generativo. Senza si ritorna alla legge della forza, all’erosione della democrazia e persino alla guerra.

Con saggezza pratica, Juncker spinge per significativi avanzamenti istituzionali e democratici, ma li confeziona in pillole separate

che possono essere realizzati senza passare tra le forche caudine di oggi improbabili cambiamenti dei Trattati. Ricordando i principali: inclusione di altri Paesi nella zona Schengen, rilancio dell’allargamento ai Paesi dei Balcani, far sì che l’euro diventi davvero la moneta di tutti gli Stati Ue, trasformazione dell’Esm in un Fondo monetario europeo, passaggio a un unico Ministro europeo dell’economia e delle finanze, completamento dell’Unione bancaria. E ancora: aumentare la capacità decisionale dell’Ue con il passaggio al voto a maggioranza qualificato su nuove materie, realizzare entro la fine del 2025 l’Unione europea della difesa. Sono campi che possono cambiare in profondità l’Unione europea, spingendola verso il suo necessario destino di maggiore integrazione e unità politica.

Così lo stesso Juncker propone di osare una semplificazione dei Vertici Ue, con l’unificazione della Presidenza del Consiglio europeo (dove sono rappresentati gli Stati membri) e della Commissione europea e appoggia con decisione la proposta e di creare delle vere liste transnazionali europee alle prossime elezioni del Parlamento di Strasburgo per rendere l’Europa più “leggibile” e partecipata.
Pone quindi una meta: il 30 marzo 2019, il giorno dopo l’uscita formale della Gran Bretagna, l’Europa a 27 si ritrovi in Romania per un Summit straordinario, per prendere decisioni chiare sul suo futuro. Tutto questo si deve preparare anche con un efficace allargamento del dibattito con la società civile europea. Lo strumento di Convenzioni democratiche nazionali nel 2018 è una ipotesi suggestiva che deve trovare una concretezza strutturale e operativa, per non restare solo annuncio.
Restano però tre osservazioni critiche su questi scenari.

Sull’Europa della famosa “tripla A sociale”: a tre anni dal lancio dello slogan, il Pilastro europeo dei diritti sociali resta un oggetto indistinto e non incardinato nei processi strutturali della governance europea.

Sull’immigrazione e sulla gestione dei rifugiati siamo lungi da avere azioni incisive, dalle politiche dell’integrazione alla protezione delle persone di cui sono calpestati i diritti fondamentali (pensiamo ai campi in Libia), a veri canali di immigrazione legale e concreti corridoi umanitari.
L’omissione, infine, dell’orizzonte strategico dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è grave, quando l’Europa sarebbe oggi in grado di essere un vero campione, determinando il proprio buon futuro.
Il 2018 sarà l’Anno europeo del patrimonio culturale e la cultura può diventare una grande forza propulsiva del veliero europeo, per convincere e far convergere. E sarà anche l’anno in cui entreranno nel vivo le discussioni sul prossimo bilancio settennale: tutti sappiamo che c’è bisogno di nuove risorse che oggi non ci sono. Dunque avanti, usando sempre le tre ragioni del successo europeo, a suo tempo evocate da Papa Francesco:

la forza della visione, l’audacia dell’azione e la tenace pazienza della tessitura.

Luca Jahier