Amazon sbarca in provincia. Una buona notizia, però…

Tra le notizie di questi giorni pre-natalizi c’è n’è una buona: il colosso dell’e-commerce Amazon intende aprire un centro logistico nel polo di Passo Corese. Dell’accordo con il Consorzio Industriale di Rieti si parlava già da tempo, ma a questo punto pare mancare solo la firma. Tra assunzioni dirette, aziende sussidiarie e indotto, l’arrivo della multinazionale in Sabina dovrebbe accompagnarsi alla creazione di tanti preziosi posti di lavoro.

Con l’aria che tira sembra una notizia in piacevole controtendenza. E tutto sommato ha pure il sapore dell’ingresso nella contemporaneità. Cosa c’è infatti di più moderno e attuale del commercio elettronico, dell’economia basata sulla rete, di una azienda che si compiace di riuscire a contentare i propri clienti con un clic?

Sembra tutto bello e buono, ma qualche riserva occorrerebbe comunque coltivarla, cercando di capire cosa accade dietro lo schermo del computer e cosa si muove dietro i simpatici pacchi con il sorriso che ci arrivano comodamente a casa.

Qualche indicazione ce la dà il libro «En Amazonie. Un infiltrato nel “migliore dei mondi”» di Jean-Baptiste Malet. Proprio durante il Natale di un paio d’anni fa, infatti, il reporter è riuscito a farsi assumere da Amazon tramite un’agenzia interinale. Un escamotage necessario per superare il silenzio stampa che vige all’interno dell’azienda: i giornalisti – spiega la scheda del volume – non possono entrare e ai dipendenti non è consentito rilasciare interviste.

Nel ventre del colosso il giornalista scopre una realtà fatta di ritmi di lavoro massacranti, vissuti in enormi hangar e in condizioni piuttosto disagevoli. E soprattutto racconta gli aspetti inquietanti di un sistema di controllo che esaspera la competitività tra gli stessi lavoratori per migliorare l’efficienza del colosso.

Sono queste «condizioni durissime del lavoro», infatti, che motivano «il continuo turn over, l’apoteosi della precarietà, la politica seduttiva dell’azienda che costruisce “aure di convivialità” per mascherare lo sfruttamento dei dipendenti».

Forse non c’è nulla di strano: è solo un segno dei tempi. Il Jobs Act del Governo Renzi, in fondo, spiana la strada proprio a questo tipo di rapporti di lavoro. Un precariato che si fa sistema, in cui il lavoratore smette di essere persona per venire definitivamente ricondotto al ruolo di semplice ingranaggio della macchina economica.

Da questo punto di vista, i “Tempi moderni” di Chaplin non solo sembrano tornare, ma risultano fin troppo ingenui. Il concetto di “efficienza” nell’epoca della rete, sembra infatti riferirsi ad un meccanismo astratto, che non capisce né riconosce tanto il sudore quanto i più elementari diritti dei lavoratori.

«È il capitalismo bellezza, e tu non puoi farci niente» diranno i più smaliziati. Hanno ragione, ma va comunque ricordato che questo modello di business sta lentamente fagocitando la quasi totalità del commercio, e non solo on line, facendo terra bruciata di chiunque non abbia quella stessa potenza economico-finanziaria. Una forza che parrebbe fondarsi anche sull’abilità di sottrarre quote di imponibile al Fisco italiano spostandole – in modo legale secondo i colossi del web – dove vengono tassate meno.

Queste considerazioni dovrebbero farci opporre all’insediamento di Amazon a Passo Corese? La risposta è no: il mondo continuerebbe a viaggiare per conto suo e noi non siamo nelle condizioni di poter rifiutare neppure il peggiore dei posti di lavoro.

Ma non per questo bisogna rinunciare a coltivare il dubbio di avere imboccato la strada sbagliata, né ci possiamo accontentare di esercitare soltanto la critica. A rimanere aperto è infatti il problema di come migliorare l’esistente e soprattutto di come far sviluppare concrete alternative alla distruzione dei diritti, al ricatto economico, e all’invenzione di un precariato che potrebbe avere il retrogusto della schiavitù.