36. La “Centesimus annus”: bene comune e conflitto sociale. Le indicazioni di Papa Giovanni Paolo II

La negazione della trascendenza umana, la mancata risposta all’appello di Dio da parte dell’uomo, conducono l’individuo a lottare con i propri simili e ciò si riverbera in ogni aspetto dell’esistenza, fino alla costruzione di interi sistemi sociali che opprimono e offendono la dignità umana. Queste le indicazioni da cui ripartiamo nell’esplorazione che stiamo conducendo dell’importante Enciclica scritta nel 1991 da papa Giovanni Paolo II di cui ai precedenti articoli. Si tratta di approfondire il senso e il valore della dimensione del conflitto sociale alla luce di una prospettiva che guarda sempre all’edificazione del bene comune. Egli sottolinea, in linea con la Rerum Novarum, che i conflitti sociali insorgono inevitabilmente e il cristiano è spesso chiamato a prendere posizione con “decisione e coerenza”. Se da una parte svolge un ruolo positivo, nella misura in cui il conflitto si configuri come “lotta per la giustizia sociale”, dalla’altra viene condannata “l’idea di un conflitto che non è limitato da considerazioni di carattere etico o giuridico, che si rifiuta di rispettare la dignità della persona nell’altro (e, di conseguenza, in se stesso), che esclude, perciò, un ragionevole accomodamento e persegue non già il bene generale della società, bensì un interesse di parte che si sostituisce al bene comune e vuol distruggere ciò che gli si oppone.” (n. 14). La radice di questo atteggiamento, secondo il papa, è sempre la stessa: il far prevalere il principio della forza su quello della ragione e del diritto. Papa Giovanni Paolo II riconosce nell’imperialismo e nel militarismo le espressioni più nefaste e gravi di tale radici. Denominatore comune dei due sistemi: l’ateismo. Nell’ambito dei sistemi sociali che da queste premesse prendono vita, già nella Rerum Novarum, si sottolineava quanta poca attenzione veniva posta nei confronti di questioni delicatissime: orari di lavoro e di riposo coerenti con le caratteristiche della vita umana sociale e individuale, il richiamo al ruolo dei sindacati “non solo come strumenti di contrattazione, ma anche come « luoghi » di espressione della personalità dei lavoratori (…). (n. 15), le politiche volte all’occupazione e al contenimento degli effetti della disoccupazione, e altro ancora. Di tutto ciò viene investito lo Stato e il Magistero sollecita l’apparato statale ad affrontare il rapporto tra il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà. Ecco le parole riportate nell’Enciclica di Leone XIII fatte proprie da Giovanni Paolo II: “Al conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell’attività economica, che porti ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza. Direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all’autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato.” Il papa riconosce gli importanti passi avanti compiuti con le riforme attuate in molti stati del mondo, nella previdenza sociale, nelle pensioni, nelle assicurazioni contro le malattie, nella prevenzione degli infortuni, nel quadro di un maggiore rispetto dei diritti dei lavoratori, ma guarda oltre. Se a ciò non si accompagna la risposta alla chiamata di Dio, l’umanità torna ad imbarcarsi in avventure senza ritorno: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio e del prossimo, conduce all’affermazione illimitata del proprio interesse e non si lascia limitare da alcun obbligo di giustizia. Questo errore condusse alle due Guerre mondiali derivanti dal militarismo e dal nazionalismo esasperato e dalle forme di totalitarismo. “Senza la terribile carica di odio e di rancore, accumulata a causa delle tante ingiustizie sia a livello internazionale che a quello interno ai singoli Stati, non sarebbero state possibili guerre di tale ferocia, in cui furono investite le energie di grandi Nazioni, in cui non si esitò davanti alla violazione dei diritti umani più sacri, e fu pianificato ed eseguito lo sterminio di interi popoli e gruppi sociali.” (n .17) Riconoscere quindi le sacche di odio con le quali oggi conviviamo e saperle sciogliere nella pratica della giustizia, sembrerebbe suggerire il santo papa, potrebbe tutelare l’umanità da altre e più sconvolgenti disastri.