Zimbabwe, sanità paralizzata dagli “junior doctors”

Si tratta dei giovani medici, meno specializzati, che costituiscono la spina dorsale degli ospedali pubblici. Una vertenza economica, ma non solo. Padre Frederick Chiromba, segretario generale della Caritas: ”Molti medici tendono a emigrare in paesi dove vengono offerte loro migliori condizioni di lavoro”. Cronica mancanza di personale: un medico ogni 10mila abitanti.

Lunghe file davanti agli ospedali, pazienti costretti ad attendere ore prima di essere visitati, mentre alcuni vengono addirittura rimandati a casa: scene come questa sono diventate comuni negli scorsi giorni ad Harare e in altre città dello Zimbabwe, dove negli scorsi giorni i medici sono entrati in sciopero chiedendo paghe più alte e migliori condizioni di lavoro.

Salari bassissimi. A rifiutarsi di lavorare sono i cosiddetti “junior doctors”, quelli meno specializzati, da poco laureati, che prestano servizio soprattutto negli ospedali statali delle città, spiega dalla capitale del paese africano padre Frederick Chiromba, segretario generale di Caritas Zimbabwe. E riconosce: “Questo sciopero è una sventura, può avere effetti devastanti sul sistema sanitario, in particolare sui malati gravi e cronici. Sono persone che hanno bisogno di attenzioni costanti e non possono più riceverne”. Lo sciopero, però, ha spiegato il sindacato di categoria, andrà avanti a oltranza perché, scrivono i medici in un comunicato “abbiamo perso fiducia nel fatto che il governo abbia qualunque piano concreto, verificabile e pratico” per i lavoratori della sanità, già protagonisti di una protesta simile nel 2008. Da allora, poco è cambiato e anche le richieste degli scioperanti sono le stesse, innanzitutto un innalzamento del salario mensile: oggi va da 282 dollari americani – che hanno corso legale in Zimbabwe – a circa 570 nei casi migliori. I medici vorrebbero portarlo a 1000-1200, più contributi per l’abitazione e i trasporti. Quello dell’alloggio è un altro problema: molti “junior doctors”, spiegando la loro decisione di scioperare, hanno descritto le case fatiscenti che sono state assegnate loro.

Situazione critica. Anche i medici, insomma, come la stragrande maggioranza dei cittadini, vivono ancora le conseguenze della grave crisi economica degli scorsi anni, che toccò il punto peggiore proprio nel 2008. Allora il tasso d’inflazione raggiunse un inimmaginabile 231.000.000%: la moneta locale, per quanto continuamente ristampata in nuovi formati, perdeva qualsiasi valore nel giro di pochi giorni. “Adesso stiamo lentamente uscendo da quella situazione”, testimonia padre Chiromba, ma ciò non significa che le difficoltà siano finite. “Molti medici – nota il religioso – tendono a emigrare in paesi dove vengono offerte loro migliori condizioni di lavoro, la mancanza di personale è un problema che va anche al di là dello sciopero di questi giorni”. Secondo gli ultimi dati disponibili, registrati dalla Banca mondiale, nel Paese c’è soltanto un medico ogni 10mila abitanti: per fare un paragone, in Italia sono più di 40 e nel confinante Sudafrica 8. A parte le conseguenze immediate dello sciopero, con gli ospedali che sono in grado di curare ormai solo i casi di emergenza e il governo costretto a precettare i medici dell’esercito, dell’aviazione e della polizia per avere personale a disposizione, il problema dello sciopero è che si affianca ad una condizione già critica del sistema. Lo dimostrano i dati più recenti in possesso dell’Organizzazione mondiale della sanità, che si riferiscono al 2012. Numeri come quello del tasso di mortalità materna, 5 casi ogni 1000 nascite, o della prevalenza del virus Hiv: il 14,7% dei cittadini tra i 15 e i 49 anni è sieropositivo e le morti dovute all’Aids sono 288 ogni 100mila abitanti.

Scontro sulle responsabilità. “In generale – testimonia padre Chiromba, che si rifà all’esperienza dei molti ospedali gestiti dalla Chiesa cattolica, per lo più nelle aree rurali – il problema più grande è quello di riuscire ad avere le medicine, mentre le strutture ci sono”. La scarsità di farmaci impedisce “ai medici di lavorare come sarebbe necessario”, prosegue il sacerdote, che però cerca anche di vedere elementi potenzialmente positivi: “Le condizioni perché il sistema funzioni in realtà ci sono, speriamo che la situazione si normalizzi presto così che le cose possano procedere meglio”. La prima speranza, naturalmente, è che finisca lo sciopero degli “junior doctors”, ma le trattative tra il ministero e il sindacato avanzano a fatica e l’opinione pubblica è divisa sulle responsabilità. Il dottor Brighton Chireka, medico ed editorialista per il sito ‘New Zimbabwe’, in un corsivo comunque non tenero con il governo ha chiesto ai suoi colleghi in sciopero: “Chi soffrirà a causa di questo stato di agitazione?”, mentre la testata ‘NewsDay’ ha fatto appello al governo perché “ascolti le lamentele dei medici”.