Riportiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta da mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme, in occasione della veglia di preghiera per la pace a Gaza e in Medio Oriente che si è tenuta a Gerusalemme.
Carissimi fratelli e sorelle,
Siamo qui riuniti innanzitutto per stringerci intorno al dolore di quanti in questi ultimi giorni hanno perso la vita. Purtroppo, dobbiamo ancora una volta constatare che nella nostra Terra la violenza e la forza sono considerate l’unico linguaggio possibile e che parlare di dialogo è diventato solo uno slogan. Lo abbiamo già detto altre volte e rilevato troppo spesso: nella nostra Terra la vita umana ha poco valore.
Davanti all’uccisione di persone inermi, al rifiuto ostinato a trovare soluzioni alternative alla violenza, ci sentiamo impotenti.
Molto è già stato detto, e di fronte a queste tragedie pensiamo sia meglio non parlare troppo ma stare in silenzio di fronte al Signore per intercedere, pregare e chiedere il dono della fiducia e della pace. Dopo questi ennesimi episodi di violenza, infatti, e di fronte alle minacce di guerra che ancora incombono, dobbiamo attingere dalla preghiera la forza di credere ancora e avere fiducia che possiamo cambiare e che la nostra Terra possa un giorno conoscere la giustizia e la pace, per la quale vale ancora la pena di operare.
Vogliamo una pace che sia accoglienza cordiale e sincera dell’altro, volontà tenace di ascolto e di dialogo, volgiamo che la paura e il sospetto cedano il passo alla conoscenza, all’incontro e alla fiducia, dove le differenze siano opportunità di compagnia e non pretesto per il rifiuto reciproco.
I brani della Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci indicano la via per arrivare a questo. Isaia denuncia con parole dure, ma ancora molto attuali, cosa scava un solco profondo tra Dio e il popolo dell’alleanza, cosa allontani l’uomo da Dio: le mani macchiate di sangue (59:3), la menzogna e la frode nelle procedure (8), il rifiuto ostinato a seguire la verità, spogliare chi rifiuta il male (15). Ma aggiunge anche: “si è meravigliato perché nessuno più intercedeva” (16). Nessuno più cercava di fermare tutto ciò, non c’era più alcuno che volesse cambiare. Sembra una fotografia della nostra realtà: violenza che provoca morte, giustificata e coperta da procedure per le quali la verità non è necessaria. E proprio per questo siamo qui oggi, per intercedere e per pregare, per chiedere al Signore che “il suo braccio e la sua giustizia ci sostengano” (16).
Isaia denuncia l’ingiustizia che abita il suo popolo, Paolo ci lascia un’indicazione di comportamento: bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza, perdono vicendevole, e carità soprattutto. Di fronte al male che governa le relazioni sociali, Paolo invita la sua comunità innanzitutto a sanare le relazioni comunitarie, noi oggi diremmo ecclesiali. Sia la vostra comunità – dice l’apostolo delle genti – a risplendere come luce e a far brillare quella giustizia di cui tutti hanno sete: “La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché a questo siete stati chiamati” (15). Forse non riusciremo a cambiare come vorremmo il mondo nel quale viviamo, ma possiamo e dobbiamo cominciare da noi, dalla nostra comunità e diventare per quanti vivono tra noi e attorno a noi attrazione alla verità e alla giustizia.
Nella vigilia della solennità di Pentecoste, dunque, chiediamo il dono dello Spirito, che ci faccia comprendere e illumini la nostra vocazione personale ed ecclesiale, in questo nostro conteso sociale così ferito e stanco; ci renda capaci innanzitutto di accogliere la nostra realtà senza menzogne e senza illusioni, metta sulle nostre labbra parole di consolazione, ci dia il coraggio della difesa della giustizia senza compromessi con la verità e nel rispetto della carità. Ci renda capaci di perdono.
Duemila anni fa, un piccolo gruppo di discepoli, illetterati e impreparati a tutto, ha ricevuto in eredità il mandato di cambiare il mondo. Ci sono riusciti e lo hanno cambiato. Possiamo farlo dunque anche noi, piccole gregge della Chiesa di Gerusalemme. Non guardiamo ai nostri numeri, e non confidiamo troppo nelle nostre forze e non presumiamo che le nostre strategie siano la risposta. Guardiamo a quei 12 illetterati. Lo hanno fatto semplicemente testimoniando Cristo risorto.
“Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14:17).
Con queste parole di consolazione vogliamo ora in silenzio pregare e intercedere, cantare ed implorare il dono della pace per noi e per i nostri popoli.