Un disco per l’estate

E se la moneta unica fosse un fuggevole amore estivo?

A metà luglio, con il caldo che fa, in redazione si è fatta avanti l’esigenza di cercare un bel tema estivo, di quelli che allietano chi sta sotto l’ombrellone. Non c’è niente di meglio che parlare di spread e di Euro, abbiamo pensato. Un tema leggero leggero, nel quale il fresco entusiasmo di Mario Monti e Giorgio Napolitano torna sempre utile.

Una chiacchiera da bar insomma. Infatti, pochi giorni fa, proprio al bar abbiamo sentito il Presidente della Repubblica gracchiare da una radio che «più noi daremo ai mercati l’immagine di un Paese in cui tutti hanno una comune consapevolezza e senso di responsabilità e più ne guadagneremo in termini di fiducia nei mercati».

«Non ricordavo che lo scopo ultimo della Repubblica fosse il mercato» ha commentato un amico mentre sceglieva i gusti del gelato. Beh, vi parrà strano, ma non ce la siamo sentita di dargli torto.

È da parecchio, infatti, che lo Stato si muove per dar ragione ai mercati. Non quelli della frutta o del bestiame, ovviamente: a indicare la strada sono quelli finanziari. Vale a dire pochi squali affamati che si accaparrano il controllo della ricchezza prodotta dai cittadini. È per ingrassare questi pesci grossi che si portano avanti riforme al ribasso, tagli di spesa, cessioni di sovranità e svendite all’ingrosso dei beni di tutti.

Tutte cose che accadono da quando c’è l’Euro. E solo nei paesi che hanno l’Euro. Ne è felicemente consapevole anche il Presidente della Repubblica. La situazione politica ed economica dell’Italia, ha sottolineato Napolitano, è «molto condizionata dallo spread», ma la moneta unica rimane «una grande e irrinunciabile conquista della costruzione europea». Finalmente una posizione chiara, come a dire: «crepate per l’Euro: è cosa buona e giusta».

E non c’è neanche da discutere. Che l’Euro venga prima deve essere un fatto evidente, incontestabile, senza necessità di alcuna dimostrazione. Un dettato da rispettare, se non altro, per buona educazione.

Il Presidente del Consiglio ha dovuto infatti richiamare all’ordine il vertice di Confindustria. Erano risuonate certe battute vagamente critiche verso le politiche del Governo. Non si fa, ha bacchettato Monti (con l’aria supponente che di solito ha la Fornero). «Certi commenti non fanno per nulla bene e rischiano di fare alzare lo spread» ha ammonito. Insomma, con questa crisi mica vorrete la libertà d’espressione: costa troppo!

Beh, fortuna che noi siamo al bar, e al bar ognuno chiacchiera come vuole. Non si preoccupino dunque il Professore e il Presidente se diremo che dello spread non ci importa un fico secco e che dall’Euro sarebbe meglio uscire subito. Anche perché, come in ogni bar che si rispetti, saremo subito assaliti da una serie di «Uscire dall’Euro? Ma sei da manicomio…» e via di questo passo.

A forza di sentire la televisione, siamo diventati un po’ tutti economisti (e quasi tutti liberisti per di più). Anche davanti al caffè. D’accordo: che ci siano teste pensanti è sempre un bene. E da qualche parte bisogna pur cominciare.

Noi però proveremo a fare a meno delle lezioni della Tv. Proveremo a fare qualche osservazione euroscettica terra terra. Ad esempio ricordando che quando avevamo la nostra povera liretta la parola spread manco esisteva. La ricchezza, però, era molto più diffusa. L’evasione fiscale non mancava di certo, ma non per questo si sentiva parlare ogni giorno di tagli alla sanità e ai servizi. La Svezia si è ben guardata dal mettere anche solo un piede nell’Euro e non sembra se la passi poi così male. Perché noi no?

Perché – si dice – in Lire non si riuscirebbe a ripagare il debito. E allora? Ammesso e non concesso che sia così, dovremmo sopportare la voce grossa dei creditori. Come se adesso stessero zitti! Poi, se davvero fossimo insolventi, non credete che i creditori vorrebbero recuperare il possibile e chiuderla lì? L’Argentina dopo il fallimento se l’è cavata così ed oggi cresce il 7,5% all’anno.

Inoltre, consideriamo che c’è debito e debito. Fuori dell’Euro ci sono grandi paesi che vantano un debito pubblico molto più alto del nostro e non se ne preoccupano affatto. Il debito pubblico giapponese, ad esempio, viaggia attorno al 200% del Pil senza alcuna conseguenza o attacco dei mercati. Mentre noi, ad inseguire l’austerità, ci siamo addirittura convinti che non abbiamo più nemmeno le risorse per dare sollievo alle zone terremotate. Quasi che all’improvviso in Italia non avessimo più braccia, intelligenza e industria per produrre quel che ci occorre.

Ma ci mancano le materie prime, dirà qualcuno più sveglio. Mancano pure alla Svizzera, viene da rispondere. Ma non per questo nei cantoni si pagano stipendi da fame (e guarda caso la Svizzera in Europa non c’è nemmeno entrata, altro che Euro).

Insomma: c’è vita oltre la moneta unica? Noi scommettiamo di sì. Più vita che dentro l’eurozona, ci pare. Ma poi non è neanche questo il punto. È che dovremmo ricomiciare a ragionare di cose relativamente semplici: cosa sono un debito e un credito, come funziona la moneta, la differenza fra Stato e impresa privata, eccetera.

Riduciamo le formule astruse dei professori ai fondamentali. Sarà più facile riconoscere i tratti dell’inganno e dell’abuso.

Di bancarottieri illusionisti finora ne abbiamo sopportati parecchi. Salvo ammettere che dal Governo dei professori alla maggior parte dei cittadini sia venuto qualcosa di buono, magari tolto ai poteri forti in un’ottica di riequilibrio.