Nel sistema di libero scambio delle merci l’autarchia non funziona

Sull’agroalimentare si cerca di non penalizzare le nostre produzioni. Ma non perché sono “nostre”, piuttosto per qualità e freschezza.

Quando il nostro latte va alla conquista della Cina, è “invasione italiana” o grande colpo di mercato? E quando il pomodoro cinese si annette fette di mercato nostrano, è “invasione degli ultracorpi” o semplice interscambio commerciale?
È il libero mercato, bellezza. E ha le due facce della medaglia. Una sono le esportazioni, le nostre merci che vendiamo all’estero, ovunque, sempre di più. Un’altra sono le importazioni, gli acquisti di materie prime, semilavorati, prodotti finiti. Solo che esiste un velo di ipocrisia da sollevare: i nostri kiwi che travalicano il chilometro zero e se ne vanno alla conquista dell’Europa, non sarebbero demonizzati qui proprio perché non “a chilometri zero” se dalla Spagna arrivassero in Italia?
Perché il libero mercato aborre l’autarchia. Le merci vanno dove c’è richiesta e combattono con le armi della qualità e dei prezzi. E ci mancherebbe altro! Sarebbero proprio le merci italiane le più danneggiate da un vento di autarchia e di mercati chiusi, visto che siamo tra i maggiori Paesi esportatori del mondo.
Sull’agroalimentare, è chiaro che si cerca di non penalizzare le nostre produzioni. Ma non perché sono “nostre”, piuttosto per qualità e freschezza. Gli splendidi pomodori maturati nelle serre belghe e olandesi hanno un difetto di gusto mica da scherzo: ma si regolerà il consumatore, la prossima volta. Mentre molto spesso i limoni spagnoli o argentini guardano dall’alto in basso, in tema di qualità, la produzione nostrana. È meglio che il latte provenga dal maso vicino, prodotto da mucche alimentate a pascolo biologico, piuttosto che da qualche autobotte che da giorni lo scarrozza in giro per l’Europa. Però tutto ciò appare più una battaglia mediatica che altro.
O i cinesi, che ora vedranno arrivare sui loro scaffali il latte di una nota azienda italiana, dovrebbero a loro volta inalberarsi a difesa del loro chilometro zero, e cacciare oltreconfine il nostro prodotto così fresco che ha fatto il giro del mondo? E il prosciutto di Parma che vuole conquistare il Canada? E i formaggi grattugiati – orgoglio tricolore – che devono confrontarsi in giro per il mondo con localissimi quanto orrendi prodotti caseari?
Sia la qualità, dunque, associata ad un ragionevole prezzo, il passaporto di ogni merce. È chiaro che dobbiamo fermare alla frontiera ogni prodotto che sia adulterato o dannoso alla salute. Ma non è la provenienza tricolore a garantire salubrità e originalità: sul sofisticare il cibo (o peggio), noi italiani potremmo dare lezioni a tutti.