Più che esortare, serve stare vicino insegnando la responsabilità e i frutti dell’agire per il bene

Un esempio è anche condivisione di cammino insieme. Un tratto di strada in cui non serve solo redarguire e neanche aver timore di dire che ci si è passati anche noi da quella pigrizia, da quella indolenza, dal non capire perché si debba fare o non fare quella cosa

Non ci sono solo le Dolomiti e neppure solo le Alpi! Prometto che me ne ricorderò e lo dico a voce alta per tutti coloro che come me vivono la supponenza nordica che non considera montagna vera quella a sud del Rubicone… Se ci si inerpica per le curve della Val Nerina, fra Terni e Spoleto, è incantevole lo spettacolo che offrono questi rilievi umbri, dalle forme dolci e bizzarre insieme. L’altezza non elevata, lungi dal rendere meno aspri i pendii, permette loro di vestirsi fino in cima delle cangianti sfumature della vegetazione autunnale. Qua e là in questo mare verde spuntano torri, rocche e masti, più o meno diroccati, posizionati con sapienza dall’uomo e in grado di comunicare da un punto all’altro della valle con fuochi e segnali, quando davvero non c’era campo per i telefonini.

San Pietro in Valle era ed è uno di questi avamposti: un monastero fortezza, al crocevia fra l’ascesi verso il cielo e la volontà di fecondare la terra, secondo l’antico adagio benedettino “ora et labora”, nella convergente volontà di lavorare e pregare per il Regno e per lasciare il mondo migliore di come lo si è trovato. Il complesso, risalente almeno all’VIII secolo, è ancora fiero della sua bellezza, tanto che le celle monastiche sono divenute le stanze di un hotel di charme. Le alte mura, il giardino panoramico, il campanile e la chiesa, tutto domina su uno scorcio selvaggio della valle e da ogni lato si guardi vi è solo natura. Nonostante il luogo paia isolato, da qui sono passati idealmente migliaia o forse milioni di spettatori, da quando nel 1955 in questo luogo fu girato il famoso “Marcellino, pane e vino”, film che ha commosso generazioni di adulti e bambini ed è entrato nell’immaginario di molti di noi. Ben prima della macchina da presa, pare sia passato da queste parti anche Giotto e che l’innovativo artista, per i suoi capolavori nella Basilica di Assisi, abbia preso ispirazione dagli affreschi sulle pareti di questa chiesa, risalenti a circa 150 anni prima. Alcune delle immagini che i restauri ci hanno riconsegnato sono affascinanti. La guida mi suggerisce e faccio una scoperta: Dio crea Adamo, Dio crea Eva…

L’immagine del Creatore ha le fattezze di un uomo e dimensioni non diverse da quelle della sua creatura! Dio Padre sta di fronte agli uomini, non assiso in mandorle celestiali o in pose ieratiche e distanti. Già, il Dio della Genesi assume aspetto umano e si confronta con la realtà che va creando. Mi dicono che è segno di una svolta epocale, iconografica, filosofica, teologica. Siamo nel momento di passaggio dall’arte bizantina a quella romanica e potrei proseguire, ma il pretesto è lanciato… Vorrei entrare nella mente e nel cuore di quel pittore medievale: chi gli ha dato quel coraggio di cambiare da come facevano quelli prima di lui? Chi gli ha suggerito di poter osare cambiare quelle proporzioni? Chi lo ha reso adulto quanto bastava per avere la forza di fare cose nuove? Mi interrogo sulla responsabilità, creativa in questo caso, morale più in generale.

Come si insegna e come si impara la responsabilità? Non è mia ambizione assorbire tutta la componente misteriosa sottesa ad ogni processo educativo, ma ci saranno pure dei modi per cercare di avvicinarsi allo scopo, senza andare a tentoni. Ovvero quello di formare uomini adulti, capaci di prendersi delle responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri. Eppure non c’è un manuale, come in quasi nessun campo del sapere e, purtroppo, spesso si cresce senza diventare grandi. Lo hanno sperimentato quei ragazzi di una scolaresca che l’altro giorno hanno fatto visita al Senato e la cui attenzione stupita per quel luogo così simbolico, contrastava con la distratta routine dei senatori, presi da tutto tranne che dai lavori in aula.

Chi dovrebbe insegnarci la responsabilità? Un amico disarmante, con due figli appena usciti dall’adolescenza, tre anni fa appese con ingenua prosopopea un cartello in sala da pranzo: “questo è l’anno della responsabilità”. I risultati di quello sprone solo sulla carta – mi racconta – furono pari a zero… Poi successe che lo stesso amico dovette occuparsi del ricovero dell’anziano padre e tutto prese un’altra direzione. L’esempio di quel prendersi cura, senza se e senza ma, senza lamentarsene, considerandolo semplicemente quello che si doveva fare, scuote i due fratelli che iniziano un percorso con una prospettiva del tutto nuova.

Non temo retorica: la responsabilità si trasmette con l’esempio. Un esempio concreto, magari non ostentato, ma silenziosamente eloquente ed esplicitamente offerto quando serve. Un esempio che è anche condivisione di cammino insieme, un passo avanti o affiancati a chi si vuol far crescere. Un tratto di strada in cui non serve solo redarguire e neanche aver timore di dire che ci si è passati anche noi da quella pigrizia, da quella indolenza, dal non capire perché si debba fare o non fare quella cosa… o ancora più drammaticamente dalla paura o dall’angoscia di non sentirsi all’altezza di quanto ci viene chiesto.

Solo vedere che chi ci precede ha superato la prova, rinforza, sostiene e incoraggia e anche se per chi educa è difficile capire in quale momento mollare la presa, questa è l’unica strada. Camminare con le proprie gambe, lasciando la mano di chi ti ha retto fino a quel momento, prendere decisioni autonome, assumersi i doveri che ci competono: è come fare un affresco con immagini mai viste prima, eppure figlie di quelle che le hanno precedute. Responsabilità e coraggio, senso del dovere e creatività si abbracciano, come dovrebbero poter fare ad ogni età un padre ed un figlio.