Sguardo di donna sulla ‘ndrangheta

È quello di Valeria Solarino, magistrato in Calabria, in “La terra dei santi”

Valeria Solarino interpreta, nel nuovo film “La terra dei santi”, un magistrato coraggioso che in Calabria combatte la guerra alla ‘ndrangheta. Tanti sono i film realizzati sull’argomento criminale (sia per il cinema che per la televisione), ma erano per lo più incentrati sulla mafia e sulla camorra (per esempio “Gomorra”, film e serial televisivo), mentre la ‘ndrangheta era stata lasciata fuori dalla rappresentazione audiovisiva. Eppure è l’associazione criminale più forte e potente. Oggi un film decide di metterla al centro di una storia e lo fa con uno sguardo inedito. Se infatti già lo scorso anno il bello “Anime nere” aveva affrontato il tema della ‘ndrangheta attraverso la storia intrecciata di tre fratelli calabresi, oggi “La terra dei santi” adotta uno sguardo al femminile per narrare il fatto mafioso.

La pellicola, diretta dall’esordiente Fernando Muraca, è, infatti, una storia di donne: la Solarino e due sorelle appartenenti ad una famiglia mafiosa. Una pellicola che insieme alle donne racconta, in realtà, anche i figli e il loro destino spesso tragicamente segnato all’interno del clan familiare e delle logiche mafiose. Il titolo fa riferimento alla maniera in cui i greci ortodossi chiamavano la Calabria: La terra dei santi, appunto, comprendente la Lamezia Terme dove Vittoria alias Valeria Solarino si trasferisce dal Nord Italia per iniziare la propria carriera di magistrato con la seria intenzione di sconfiggere la ‘ndrangheta. La stessa ‘ndrangheta in cui Assunta sembra essere costretta a restare, anche se le hanno ucciso il marito e deve ora sposarne forzatamente il fratello Nando. La sorella maggiore Caterina è impegnata a controllare gli affari di famiglia mentre il marito Alfredo Raso è latitante, non solo la aiuta ad accettare le nozze, ma rappresenta per lei l’unico modo che ha per proteggere i suoi due figli: il piccolo Franceschino e l’adolescente Giuseppe, il secondo dei quali ha già la stoffa del capo, tanto da ottenere il pericoloso compito di fare da guardaspalle al cugino Pasquale.

Un film che si concentra sul delineamento dei rapporti tra i diversi protagonisti e che cerca di scavare dentro le radici antropologiche del fenomeno ‘ndrangheta. Non tenta di raccontare i crimini che essa compie perché già ampiamente fatto dai telegiornali e dalle fiction televisive, ma si chiede perché sia così forte. Il film mostra come la ‘ndrangheta non sia semplicemente una organizzazione che gestisce traffici illeciti, una associazione a delinquere. Essa muta infatti la “natura” stessa delle persone che vi appartengono. Esse, giurando fedeltà alla cosiddetta famiglia, perdono il libero arbitrio, ciò che caratterizza la persona. Gli affiliati diventano soldati di una forza oscura e settaria che opprime e distrugge la speranza, la gioia di vivere in intere comunità.

La pellicola è sceneggiata dallo stesso regista, Monica Zapelli, che scrisse “I cento passi” (2000) di Marco Tullio Giordana, altro film d’argomento mafioso, basato su fatti realmente accaduti. Anche per questa pellicola i due sceneggiatori si sono informati a lungo sul campo per rendere la descrizione più vera. Su questa base realistica, poi, il film costruisce una narrazione “di genere” da thriller giudiziario. Forse un po’ troppo stereotipata in alcuni momenti, ma sostenuta da un’ottima recitazione degli attori che permettono così alla pellicola di mantenere una costante tensione e un alto livello di interesse.