Sei in ferie? No, in permesso sindacale!

Bene i diritti dei lavoratori e dei sindacati. Ma occorre essere attenti ad evitare l’arbitrio e l’abuso.

È tempo di vacanza ma «Frontiera» non prende ancora secchiello e paletta. Comunque non prima di “sfruguliare” ancora un po’ su alcune, apparentemente insuperabili, storture del nostro sistema politico ed economico che tutti siamo pronti a criticare, salvo quando vengono toccati i nostri interessi particolari.

Pare che il governo abbia deciso di mettere mano ai buoni pasto, portando da dieci euro a sette euro il loro potere di acquisto di cibi; meno male, ma ancora poco.

Il buono pasto, che può essere utilizzato pure per fare spesa al supermercato, è una contraddizione in termini anzitutto, ma più ancora è una contraddizione logica. Se l’Ente mi dà il pranzo è perché devo mangiare, non comprarmi, per esempio, il detersivo per i piatti o altre simili cose!

Ma la commedia non finisce qui, «Frontiera» riceve segnalazioni ben circostanziate sull’uso “improprio” – chiamiamolo così – dei permessi sindacali.

Tutti sappiamo cosa sono. In pratica, ogni lavoratore ha diritto ad avere un certo numero di ore di permesso dal servizio per svolgere o partecipare all’attività sindacale, giustissimo, ma soprattutto colui che ricopra determinati ruoli all’interno di un sindacato ha diritto ad avere quanti permessi ritenga opportuno, senza che si debbano svolgere particolari controlli da parte del datore di lavoro, in ragione della libertà sindacale e di diritti, per carità, sacrosanti e riconosciuti dalle leggi.

Ma spesso accade che costoro utilizzino il permesso sindacale come prolunga delle ferie, o specialmente in determinati periodi, tipo: mercoledì 13 agosto, permesso sindacale, giovedì 14 agosto, permesso sindacale, venerdì 15 agosto festivo, sabato 16 agosto è prefestivo e non si lavora, domenica 17 agosto è festa, lunedì 18 agosto – tanto per variare – Legge 104!

Qualcuno ha il coraggio di credere che questo sia un diritto o non piuttosto un privilegio?

E quanti lavoratori, operai, impiegati dovranno rinunciare alle ferie in quel periodo per dare la possibilità a qualche privilegiato di starsene allungato sotto un ombrellone? Magari mentre legge il giornale dove c’è scritto che è stato denunciato un impiegato perché durante l’orario di lavoro, senza timbrare il cartellino, si è recato a fare la spesa nel vicino supermercato! «Eh, ma certe volte i lavoratori se la cercano proprio, che posso fare io che sono sindacalista, mica faccio i miracoli!».

Non sono questi privilegi costosi, onerosi, per la società e per lo Stato? Perché non si vanno a “sindacare”, è il caso di dire, queste storture, invece di fare penosi tagli al personale nelle scuole e negli ospedali, giocando con il futuro e con la vita delle persone? Una vita diversa è possibile, una società più giusta è necessaria.

È di una attualità disarmante la frase di San Tommaso d’Aquino che è stata proposta quest’anno agli esami di Stato delle scuole superiori: «Ora, le leggi devono essere giuste sia in rapporto al fine, essendo ordinate al bene comune, sia in rapporto all’autore, non eccedendo il potere di chi le emana, sia in rapporto al loro tenore, imponendo ai sudditi dei pesi in ordine al bene comune secondo una proporzione di uguaglianza. Essendo infatti l’uomo parte della società, tutto ciò che ciascuno possiede appartiene alla società: così come una parte in quanto tale appartiene al tutto. Per cui anche la natura sacrifica la parte per salvare il tutto. E così le leggi che ripartiscono gli oneri proporzionalmente sono giuste, obbligano in coscienza e sono leggi legittime» (San Tommaso d’Aquino (1225-1274), La somma teologica).

Chi governa non deve eccedere nell’uso del potere e sappiamo che l’eccesso e l’abuso di potere sono illeciti amministrativi e penali anche per il nostro diritto positivo; e si devono imporre ai cittadini pesi secondo proporzione e uguaglianza; tutto ciò che uno possiede appartiene alla società!

Roba da far venire i brividi a Karl Marx. Eppoi ci dicono che noi siamo comunisti!

2 thoughts on “Sei in ferie? No, in permesso sindacale!”

  1. Marco Giordani

    concordo sul malcostume dei permessi sindacali, anche spesso tollerati dalle aziende in cambio di “qualcosa”; ma non capisco cosa c’entri in questo il meccanismo dei buoni pasto. Essi esistono laddove il contratto di lavoro prevede una mensa ed il datore di lavoro non ritiene conveniente fornirla. A quel punto al dipendente è riconosciuta una cifra per provvedere in proprio. Provate, con quei determinati buoni pasto (scelti dall’azienda), a mangiare ogni giorno, partendo dal nucleo industriale di Vazia. Cosa c’è di contraddittorio se, tramite supermercato, il dipendente e la sua famiglia è costretto a provvedere da sé? E, premesso che non tutti i supermercati accettano buoni per generi non alimentari, cosa c’è di illogico nel fatto che i piatti vadano anche lavati (spesa che anche l’azienda sosterrebbe se avesse una mensa)?

  2. Massimo Casciani

    Un conto sono le aziende private e un conto gli enti pubblici; d’accordo sul fatto che ciò è previsto dai contratti, ma in tempi di crisi ognuno si può portare il pranzo da casa o comprarselo sul posto o nei paraggi. Perché vi devono essere lavori “ordinari” e non particolarmente delicati o gravosi in cui il datore deve fornire il pranzo e lavori in cui questo non deve avvenire.
    Chi insegna, ad esempio, il detersivo per i piatti e il pranzo se li compra con lo stipendio che non è poi particolarmente alto. Il buono pasto in sé è un retaggio di conquiste fatte a seguito delle cosiddette “vacche grasse”. Forse non è più tempo.

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