San Domenico, quel chiostro da riscoprire

All’indomani delle Giornate Fai di Primavera, che a Rieti hanno contribuito ad accendere i riflettori sulle monumentali chiese mendicanti di San Domenico e San Francesco, i media locali hanno dato giusto risalto alle considerazioni garbatamente polemiche a firma di Francesco Saverio Pasquetti.

Poiché la lamentela riguardante la difficoltà di accesso coinvolge ex æquo politici ed ecclesiastici, appare utile ricordare un po’ della storia passata e della cronaca recente relativa alle sorti del Giudizio Universale realizzato dai fratelli Torresani tra il 1552 e il 1554 per l’oratorio della confraternita dei mercanti reatini intitolata a san Pietro da Verona, sotto l’egida dell’Ordine dei Predicatori: oratorio che, assieme al chiostro dell’ex convento domenicano, è attualmente inserito nel complesso militare della “Verdirosi”.

Il maestoso affresco – commissionato nella ricorrenza del terzo centenario dal martirio dell’inquisitore Pietro da Verona ucciso dai catari in un agguato nel bosco di Barlassina – che si sviluppa sulla volta e su tre delle pareti dell’aula costituisce un autentico compendio d’arte sacra, riproponendo brani pittorici dai grandi modelli del Beato Angelico e di Signorelli della cappella di San Brizio e di Michelangelo della Cappella Sistina.

Un importante tratto di originalità è dato dalla decorazione della lunetta che sovrasta la scena convulsa del Giudizio, dove al suono delle tube si separano per l’eternità le schiere dei dannati dalle anime destinate alla salvezza: qui, su una compatta cortina di nubi, l’agile pennello dei Torresani raffigura accanto a san Pietro Martire i santi più cari alla devozione popolare, da santa Barbara a san Francesco, da sant’Antonio Abate a santa Margherita, impegnati a fornire sostegno ed ausilio alle anime periclitanti, quasi a rafforzare il ruolo intercessorio rivestito dai santi secondo la tradizione cattolica, riaffermata in quegli anni dal concilio di Trento.

Nonostante l’oggettiva bellezza e la sostanziale ortodossia del grande dipinto parietale, venti anni dopo la sua realizzazione il visitatore apostolico monsignor Pietro Camaiani ne decretò la distruzione a causa della destinazione dell’oratorio, accessibile ai laici incapaci di attribuire il giusto significato catechetico e teologico ai nudi del Paradiso. A scampare dalla scialbatura l’opera dei Torresani, intervennero i Domenicani che offrirono alla confraternita dei mercanti la permuta con la vicina chiesa di San Matteo all’Yscla (rinominata all’uopo San Pietro Martire), utilizzando a loro volta l’aula, destinata da allora in poi ad accogliere gli studenti del noviziato.

La prima chiusura al pubblico data dunque all’ultimo quarto del XVI secolo. Fino all’alba del XVIII, sotto le volte affrescate si formarono generazioni e generazioni di dotti Domenicani. Le soppressioni ottocentesche consegnarono al Regio Esercito il complesso conventuale di San Domenico, condannando la chiesa ad una condizione di profanazione e di degrado riscattata solo da un breve numero di anni.

È stata più benigna la sorte dell’oratorio, studiato agli inizi dell’Ottocento da Angelo Maria Ricci in collaborazione con il pittore neoclassico Pietro Paoletti che ne eseguì pregevoli rilievi, restaurato agli inizi del Novecento dal professor Giuseppe Colarieti Tosti, finalmente utilizzato come cappella della caserma “Verdirosi”, officiata dal cappellano militare.

Nel 2000, il generale Mario Marioli, all’epoca comandante della Scuola Nbc, promosse l’apertura al pubblico dell’oratorio di San Pietro Martire la domenica mattina, in concomitanza con la celebrazione della Messa: furono molti, al tempo, i reatini che vi frequentarono abitualmente l’eucaristia domenicale, ancora di più coloro che ammirarono il chiostro con le Storie della beata Colomba, affrescato tra il 1626 e il 1635 da Giovanni Altobelli, Lattanzio Niccoli e Vincenzo Manenti in occasione dell’avvio del processo di canonizzazione della terziaria domenicana – nata a Rieti nel 1467, morta a Perugia in concetto di santità nel 1501 – nella ricorrenza del quinto centenario della sua nascita al cielo.

Nel settembre di quell’anno 2001, le misure adottate dal ministero della Difesa dopo l’attentato alle Torri Gemelle definirono la chiusura al pubblico di tutti gli obiettivi sensibili tra i quali la Scuola Nbc era ovviamente compresa. È dunque quasi una nemesi, quella che nel corso del tempo sembra aver destinato all’oblio o almeno ad una limitata conoscenza questa importante testimonianza d’arte sacra, che è bene conoscere nelle sue cause remote e nelle sue fasi salienti, ad evitare sterili polemiche e inopportune chiamate in correità per la mancata fruizione full time da parte di cittadini e turisti.

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2 thoughts on “San Domenico, quel chiostro da riscoprire”

  1. Francesco Saverio Pasquetti

    Gent.ma Prof.ssa Tozzi,
    La ringrazio anzitutto per la pregevole dissertazione storico – artistica relativa alla “materia del contendere” (come diciamo noi avvocati) che ha senz’altro contribuito a illuminare le mie oramai lontane reminiscenze classiche, impolverate – se così si può dire – da anni di “aride” frequentazioni giuridiche. E’ opportuno anzitutto – in via preliminare e pregiudiziale – che io operi un sincero mea culpa per non aver colto al volo, negli anni del generale Marioli,l’opportunità da reatino e da amante delle “cose belle” di visitare un’opera così unica e straordinaria.
    Conclusa tale doverosa premessa debbo tuttavia necessariamente replicare ad alcune sue affermazioni che – stavolta non proprio velatamente ne tanto garbatamente – hanno assunto l’aria di una sorta di professorale “bacchettata”, come si usava un tempo nelle scuole. Riconosco ovviamente, conscio dei miei limiti in materia, di non conoscere nei particolari la storia dell’affresco e del relativo chiostro e convento. D’altronde la Sua cultura in materia è assodata ed indiscussa. Purtuttavia posso anch’io rivendicare una certa formazione culturale ed un’approfondita conoscenza della storia della chiesa e delle sacre scritture.
    Conoscevo dunque a grandi linee le vicende ottocentesche legate alla soppressione degli Ordini ed alla conseguente espropriazione dei beni ecclesiastici, con la successiva pacificazione fra Stato e chiesa grazie ai patti Lateranensi ed agli accordi di Villa Madama dell’84.
    D’altronde è stata occasione di approfondimento in materia, per me, aver partecipato come membro della XIII sottocommissione agli esami da avvocato 2012-’13 ed aver curato – per gli orali – proprio la materia del diritto ecclesiastico. Ciò detto, mi corre l’obbligo precisare che quanto scritto in occasione della mia visita alla cappella della Beata Colomba non aveva nulla di polemico: semmai era di tenore provocatorio in senso stretto. Vi era difatti l’intenzione di “provocare” – con un articolo di colore che fosse una sorta di riflessione ad alta voce – un dialogo culturale in una città troppo spesso sonnolenta e statica. Legger dunque che da parte sua si affermi come sia opportuno <> mi fa chiaramente intendere come ella non abbia ben compreso il tenore ed il significato del mio scritto.
    Mi sarebbe piaciuta, invece, una risposta ai “fatti” con i “fatti”. Cosa che, invece, non è avvenuta e questo per un fatto semplicissimo: non poteva avvenire, poichè “fatti” da contrapporre non ce ne sono. Quali sarebbero, mi chiedo, le sterili polemiche? L’aver affermato forse – dicendo la verità vera – che Rieti è la fortunata depositaria di uno straordinario gioiello che la storia ha posto sotto chiave e che la “povera Reate” – ahilei – non è in grado di riportare alla luce, eternamente ripiegata su stessa? Forse che, dagli eventi che hanno umiliato la Chiesa consegnando questo tesoro al Regio Esercito, il tempo è trascorso senza che nulla mutasse? Oppure, come ho già detto innanzi, non è forse vero che – oltre al tragico 11 settembre – nel 1929 c’è stata la pacificazione pattizia fra stato e chiesa completata, alla luce della sopravvenuta Costituzione repubblicana, dagli accordi di palazzo Madama?
    Ed ancora: non è forse vero che nel frattempo è stata abolita la leva obbligatoria – con conseguente netta diminuzione degli effettivi dell’esercito – e che anche l’attuale ministro della difesa abbia paventato la necessità della chiusura di oltre 300 caserme in tutta Italia? Tali eventi, gent.ma prof.ssa, sono inequivocabilmente accaduti ma di essi, pare, i reatini sembrano non essersene accorti, siano essi politici ed ecclesiastici. Un fatto incontrovertibile, difatti, li accomuna in tal senso: un silenzio assordante e sempiterno.
    Stimo profondamente l’ex assessore Formichetti che, anch’egli stimolato dal mio articolo, mi ha rammentato della sua iniziativa in accordo con il Gen. Marioli. Ma le risulta forse che ci sia stato un uomo pubblico – sia esso sindaco, assessore, consigliere comunale o regionale, parlamentare o ecclesiatico – che si sia mai chiesto (esprimendo pubblicamente tale pensiero): ma non sarà possibile restituire finalmente e definitivamente alla collettività un tale splendore? Blaterare di “inopportune chiamate in correità”, gent.ma prof.ssa, mi pare, questo sì, davvero fuori luogo. Di professione difendo le persone, non faccio certo il pubblico ministero, che invece è chiamato ad articolare il capo d’accusa. Se correità ci fu e c’è, a tutt’oggi, essa è assolutamente ed ineluttabilmente in “facta concludentia” ovvero, in nessun fatto.
    Io, invece, un “fatto” me lo pongo come obiettivo: stimolato e sollecitato da molti (una mia ex compagna del liceo nonchè stimata professoressa, tra queste, mi conferma che per portarvi le proprie classi deve richiederlo ben sei mesi prima!!), che hanno apprezzato il mio scritto, mi documenterò sulla storia della cappella e sul suo attuale status giuridico e, magari costituendo un comitato, mi batterò perchè alla città venga restituito un tale splendido gioiello.
    Obiettivo troppo ambizioso? Può darsi: ma a me piace pensare che anche altri vorranno raggiungerlo. Lei inclusa.
    Un cordiale saluto,
    Avv. Francesco Saverio Pasquetti

  2. Sac. Luigi Bardotti

    In merito alla possibilità di rendere accessibile la Cappella del Giudizio Universale, quale Responsabile del Comitato S.Domenico (onlus) ho parlato più volte sia in Caserma che in Comune di poter avere anche la Cappella, con l’intenzione di tenerla aperta la Domenica.
    Ma non era possibile fare nulla per motivi di sicurezza: sopra la Cappella ci sono gli uffici della Caserma.
    Nel 2001 ricorrevano 500 anni dalla morte della Beata Colomba: abbiamo fatto diverse iniziative e anche il tentativo di ridare vita alla Confraternita della B. Colomba: nessuno si è iscritto. Eppure è una delle figure più belle di questa Città: giovane donna ricca di fascino, con fioretti di incredibile bellezza.
    Il cortile della Caserma, dietro S.Domenico è molto ampio e lo vedo sempre vuoto: l’ho chiesto per fare un Oratorio per ragazzi e giovani: ma nulla ho ottenuto.
    Come Chiesa essendo io Sacerdote di questa bella Diocesi di Rieti, siamo riusciti a recuperare il “bel S. Domenico” e collocarvi un Organo di grande prestigio e unicità al mondo. Ossia un “ecclesiastico” si è interessato e qualcosa ha combinato con il suo Comitato.
    Se poi qualche persona riesce a portare altri contributi sarebbe una vera crescita di collaborazione, di fruibilità di un patrimonio veramente unico e prezioso, di interesse per la nostra storia. In piena disponibilità. Sac. Luigi Bardotti, Rettore della Basilica di S. Domenico

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