Nel proseguire la nostra inchiesta sulla città e la cultura, dopo il dialogo con Maurizio Rossi sul internet e webtv e con Antonio Sacco sulla radio, ci è sembrato interessante guardare ancora al mondo dei media, e in particolare della televisione locale.
E sul filo di questo ragionamento abbiamo provato a coinvolgere Girolamo Berti, che da un quarto di secolo con il suo Vivicittà, in onda su Rtr, ha elaborato un personale modo di raccontare Rieti e il suo territorio.
Girolamo, come influisce la televisione sulla città?
Mah, io sono arrivato qui nel ‘90. Cosa è cambiato dal ‘90 ad oggi? Tante cose: nel ‘90 mi sembrava una città molto più chiusa. Quando con Rtr cominciavo le prime trasmissioni sulla città era difficile che le persone disposte a farsi intervistare dessero dei giudizi. C’era una prevenzione nel parlare e nel criticare. Quando si parlava dell’attività che si svolgeva in città c’era questo timore di metterci la faccia e in qualche modo avere delle proprie idee.
Eppure ne avevano di cose da raccontare…
Beh, se il punto di vista è quello della cultura a Rieti abbiamo luoghi meravigliosi: il Vespasiano, i palazzi storici, i siti archeologici… È una città meravigliosa, ma un po’ tutti ci dovremmo aprire di più. Credo che uno sforzo da fare sia quello di ampliare questo raggio di conoscenza per partecipare alla cultura. Cultura non è solo andare al cinema o al teatro. Va bene assistere ai vari spettacoli, però la cultura occorre anche farla, occorre essere persone attive. Magari in modo diverso: ognuno può fare la propria cultura mettendo a disposizione le sue conoscenze, oppure cercando di essere parte attiva tramite le associazioni.
Secondo te la televisione locale è un aiuto da questo punto di vista? Influisce il potersi guardare?
Sì, come ti dicevo il mio lavoro inizialmente è stato molto difficile. Dopo uno o due anni però non ho più incontrato alcuna resistenza nel parlare con le persone. In fondo prima della Tv chi è che parlava? Parlavano le istituzioni: il sindaco, l’assessore… era difficile che il cittadino prendesse la parola, dicesse la sua, mettesse idee per una città nuova, per una cultura, una attività nuova da fare in città. In questo mi pare che la città si è molto aperta. Anche se credo che bisogna ampliare questo bacino. Il capoluogo dovrebbe essere il punto d’attrazione per queste cose. Fare cultura e farla in città senza che ci sia partecipazione dal circondario, lasciando i paesi dei dintorni un po’ “fuori”, non aiuta. Su questo penso occorra ancora fare uno sforzo: per promuovere una cultura globale del territorio.
Seguendo da vicino quello che accade mi sono fatto l’idea che a Rieti in realtà si faccia tanta cultura. Non si contano le iniziative spontanee teatrali, associative, ambientali che vanno ad aggiungersi ad una proposta istituzionale tutt’altro che trascurabile. Il punto debole sembra essere l’isolamento delle varie esperienze. Tu che ne pensi? Manca una visione comune?
È vero, la capacità di fare sistema ancora manca.
E i media possono aiutare anche in questa direzione?
Credo di sì. Per “completare un cerchio” bisogna che ci siano diversi soggetti. E i media possono ovviamente contribuire. Ad esempio raccontando le diverse realtà, le diverse culture e mettendole insieme. Io ho provato a farlo in questi anni facendo convivere nello stesso spazio televisivo momenti diversi. Magari si possono raccordare, ma sono soggetti diversi. È difficile, ma la volontà c’è, i giovani ci sono, e questa città deve darsi una mossa, i cittadini debbono rimboccarsi le maniche.
Un aspetto interessante del tuo lavoro è che in 24 anni hai documentato praticamente tutto: dalla massaia all’artigiano… dall’impagliatore di sedie al sistema delle acque e così via. Cosa vuol dire oggi rivedere quei filmati? Hanno il sapore di uno sguardo ad un mondo perduto, offrono una visione folcloristica, o è un materiale che può andarsi a sedimentare, può andare ad alimentare a sua volta una cultura?
Credo possa avere una funzione culturale, possa aiutare la consapevolezza delle nostre radici. Siamo in una società, in un tempo veloce. Lo vediamo: oggi leggiamo una cosa sul giornale e domani ce la siamo dimenticata. E ad assistere a qualcosa che succedeva nella campagna o nella città di pochi anni fa con gli occhi di oggi sembra di essere testimoni di una distanza enorme: nel modo di pensare, di parlare, di rappresentare anche. In questo senso la televisione aiuta a registrare, a non disperdere.
Fa memoria…
Sì, ecco! Fa memoria: il modo è velocissimo, passano in fretta pure le abitudini.