Reate Festival: alta cultura musicale a misura di città

Sono lontani i tempi in cui il Reate Festival pareva quasi voler mettere in competizione il Vespasiano di Rieti con La Scala di Milano. Ed è meglio così. Abbandonate certe pretese fuori misura, sintomo forse dell’arroganza un po’ disperata vissuta dalla città in quegli anni, la manifestazione – dapprima calata dall’alto – sembra avere ormai imboccato la strada di un rapporto più autentico con il suo contesto. Soprattutto con l’edizione in corso, pare aver definitivamente trovato il proprio ruolo nell’orizzonte culturale della città.

E questo è senza dubbio utile ad una crescita perché non si limita più portare artisti di livello assoluto sui piccoli palcoscenici del contesto locale, ma ha anche iniziato a coinvolgere il Conservatorio e il Liceo Musicale, assolvendo in qualche modo ad una funzione di di raccordo tra le diverse realtà musicali. Senza peraltro rinunciare a valorizzare con convinzione anche l’altro potenziale: quello del repertorio e quello degli spazi locali.

Così è stato davvero un piacere assistere nei giorni di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti a due concerti nei luoghi sacri – la Cattedrale di Santa Maria Assunta e la Basilica di San Domenico – accomunati da un repertorio a destinazione liturgica ma vario per stile e per epoche.

Sabato 31 ottobre è stata protagonista la musica corale, con un programma che ha visto l’accostamento della musica composta nel XVII secolo da Ottavio Pitoni, importante compositore del repertorio polifonico di origine reatina vissuto a Roma a cavallo tra ‘600 e ‘700, alla produzione recente di Domenico Bartolucci.

Del primo sono stati eseguiti tre brani, tra cui il Tantum Ergo, presente nel repertorio coristico internazionale; di Domenico Bartolucci, a due anni esatti dalla scomparsa, è stata offerta una composizione dedicata a San Francesco, omaggio del Festival alla spiritualità del territorio reatino.

Domenica 1 novembre si è invece tenuto il secondo concerto organistico del Reate Festival sul grande organo pontificio Dom Bedos-Roubo. Alle tastiere Daniele Rossi, organista dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che ha proposto un repertorio godibile, virtuosistico e singolare.

«In tanti suonano l’organo – ha spiegato mons. Luigi Bardotti introducendo la serata – ma pochi suonano il Dom Bedos! Tra questi c’è sicuramente il maestro Rossi» che con la modestia propria dei più grandi ha raccontato subito i propri limiti: le mani, i piedi e la statura un po’ troppo grandi su uno strumento disegnato per gli uomini di un altro tempo. Limiti di cui per la verità nessuno si è accorto, godendo invece una esecuzione non solo impeccabile, ma anche sorprendente, in certi passaggi addirituttura divertente.

Un motivo in più per sentire proprio il Reate Festival, e sperare continui a fare queste proposte anche in futuro.

Foto di Massimo Renzi.