Quella “V” onnipresente

Una gigantesca “V” sta diventando il simbolo delle manifestazioni di protesta degli indignati di oggi. Viene disegnata su muri, vetrine, blindati della polizia, striscioni. La si trova come avatar sui profili di Facebook. Insomma, si inizia a vedere un po’ dappertutto.

La “V” rappresenta la vendetta. Non la vendetta intesa come riparazione dei torti subiti. Si tratta di qualcosa che ha a che fare con il sentimento di rivalsa di chi subisce quotidianamente il mondo. Un segno di rivolta verso i “signori”.

Il simbolo nasce dalle pagine del fumetto “V for Vendetta” di Alan Moore, scritto in Inghilterra durante gli anni della “Lady di ferro”. Rappresenta uno dei personaggi più controversi della comic art occidentale.

La storia è ambientata nel ventesimo secolo. Il mondo è caduto in un suo ennesimo Medioevo e in Inghilterra un cancelliere occupa una poltrona inespugnabile, protetto dai suoi fedeli e da un sistema che toglie ogni minima libertà al cittadino, illudendolo che il tutto sia necessario per la sua sicurezza e per la salvezza della società. Tutto, perfino la violazione dell’intimità di ogni casa.

Un panorama che ricorda un misto tra “1984” di George Orwell e “Brave New World” di Aldous Huxley. Del protagonista non sappiamo molto, solo che è un reduce dei “campi di prigionia”, che ha una cultura fuori dal comune, condita da una forza e un’agilità straordinarie. Indossa una maschera che ritrae un personaggio storico inglese, Guy Fawkes, e come costui per il governo è un terrorista.

La via che intraprende non porta il protagonista al sovvertimento immediato l’ordine dispotico del cancelliere. Lo conduce attraverso strategie diverse. Egli cerca di rendere consapevole un popolo delle sue possibilità e della sua forza, cerca di rendere l’individuo pensante, cerca di scuoterlo dal suo torpore e di fargli aprire gli occhi.

Tutto il fumetto è un invito ad aprire gli occhi sulla realtà e su noi stessi. V porta, passo dopo passo e azione dopo azione, le persone alla piena consapevolezza. Non fa esplodere alcuna rivoluzione in senso classico, ma innesca una nuova primavera dei popoli. Celebre è una frase da lui pronunciata: «non sono i popoli a dover avere paura dei governi ma i governi dei popoli».

Il fumetto può essere letto come un inno all’anarchia ma anche come un ritrovato spunto per l’autodeterminazione delle comunità e sulla ricerca di quella che può essere la via che vogliono percorrere. Un fumetto, diventato poi un film, dove il protagonista cerca di risvegliare le coscienze dall’apatia prendendo le sembianze di un personaggio storico morto per i suoi ideali, diventato un simbolo per aver lottato contro un mondo che riteneva ingiusto.

Oggi in V si riconoscono le nuove generazioni nella loro insoddisfazione verso il proprio tempo e verso coloro che ne tengono i fili. È anche un simbolo dell’inizio di una presa di coscienza? Li accompagna alla scoperta della possibilità di tracciare strade diverse? Improbabile. Le generazioni su cui ricade il peso delle speculazioni e delle decisioni dei governi, più che altro paiono essere tormentate dall’aver mancato di partecipare del benessere, finto ma tangibile, che è alla base della crisi attuale. Figli di una stella morente con il gravoso compito di celebrarne le esequie, nell’industria culturale postmoderna trovano forse più sogno e consolazione che forza. Oppure no?