Quante volte ancora?

Quante volte ancora? Una domanda che in tanti hanno posto, senza tuttavia ottenere risposta, una domanda fatta, troppo spesso, con il viso segnato dal dolore. L’ultimo caso solo qualche giorno fa. Una strada pericolosa, una moto che va. È l’inizio di un giorno come tanti, ma con l’epilogo triste da raccontare. Il destino ci mette la mano, la moto a terra, un’auto che passa. Il rumore stridulo dei freni, l’odore di gomma nell’aria. Poi il silenzio, lo sgomento, le lacrime. Quante volte ancora?

Trentaquattro anni, due figli che non vedranno il loro papà tornare alla sera, a bordo della sua moto, e non sapranno spiegarsi il perchè, non sapranno dire perchè proprio lui, tra tanti. Quella striscia d’asfalto percorsa mille volte, diventa una strada senza ritorno, basta un minuto, e tutto cambia.

Lo scenario è sempre lo stesso, lo è stato tante volte. Per anni gli abitanti di Rieti si sono battuti per avere delle risposte, e in tanti, di fronte alle autorità di turno, hanno posto la stessa, semplice domanda: quante volte ancora? La Salaria continua a mietere vittime, lo fa in modo crudele, senza possibilità di replica.

Non una strada qualunque, ma un percorso necessario verso la Capitale, che può essere raggiunta solo cosi, su quella striscia d’asfalto tanto indispensabile quanto spietata. La dove il destino decide che non è il caso di sporcarsi le mani di sangue, interviene l’uomo, con la sua scelleratezza, a rendere tutto cosi terribile.

Le campagne di sensibilizzazione, negli anni, si sono susseguite, cosi come i lavori per cercare di rendere la Salaria più fruibile. A nulla valgono autovelox, posti di blocco, nuovi guard rail; a nulla valgono di fronte all’uomo, che sa distruggere e distruggersi con la stessa, disarmante, facilità con cui crea.

Basta una notte in discoteca, il bicchiere che si svuota velocemente, tante volte, lo sguardo appannato, la fretta, il piede che preme troppo sull’acceleratore. Non esiste, di fronte a tutto questo, strada abbastanza sicura, macchina abbastanza robusta.

Esiste solo l’uomo, con la sua debolezza, con la sua vita vissuta sempre al limite, schiavo del tempo e delle distanze da colmare. Il dato disarmante è legato a tutti coloro che subiscono, che innocenti pagano il conto per la follia di altri. Quante volte ancora?

La soluzione a tutto questo non è facile da trovare, e forse nemmeno esiste. Esiste solo il dolore, lo sguardo perso rivolto al cielo, lo sgomento per aver perso un figlio, una madre, un marito, una ragione per continuare a vivere la vita.

Una strada gloriosa, che trasuda storia, la Salaria, utilizzata dagli antichi romani per trasportare il sale. Bisognerebbe fare di più, progredire, nell’epoca di treni che corrono più veloci del vento, di un mondo che si evolve con rapidità disarmante, bisognerebbe fare di più.

Dando per scontato che l’istinto dell’uomo resterà immutato nei millenni, sembra giunta l’ora di dare risposte, di mettere tutti sullo stesso piano, di creare quella ferrovia tanto invocata quanto irrealizzata, o almeno non del tutto.

Da parecchi anni è attivo il treno che da Fara Sabina permette di raggiungere l’aeroporto di Fiumicino, ma non basta. Il problema ha bisogno di una soluzione, ne ha bisogno il più presto possibile, affinché l’uomo possa solo piangere per colpa di se stesso e non per vie di comunicazione inadatte, insufficienti e oltremodo pericolose.

Una certezza c’è, ed è proprio l’uomo, che chiede risposte e non le ottiene, l’uomo che mette a rischio la propria vita e quella degli altri. Di fronte a tutto questo, l’unica cura è la speranza che qualcosa cambi, con la tremenda consapevolezza che tutto resterà cosi com’è. Quante volte ancora?

Mattia Esposito e Martina De Angelis