Quale questione morale?

Certe storie di corruttela e malaffare sollevano sicuramente indignazione e sgomento. Ma non basta fermarsi alla superficie dei problemi e trovare facili capri espiatori.

Ci risiamo

Ci risiamo: un nuovo scandalo in Comune. Un inaspettato, presunto, caso di malaffare. La lista si allunga, ma il reato è monotono: il solito peculato. Quanto basta per innescare la polemica.

«La prima emergenza in Comune non è quella economica, ma quella morale» si è affrettato a dichiarare il Sindaco Simone Petrangeli a «Il Messaggero». Gli hanno fatto eco consiglieri di maggioranza e Presidente del Consiglio Comunale. Avranno pure ragione, ma il discorso sembra condito da un misto di risentimento e soddisfazione. Sentimenti naturali per chi denuncia anni di amministrazione creativa ed eccessi di clientele. Ma nel mezzo sembrano esserci pure le recriminazioni di una Giunta che ancora non riesce a familiarizzare con la macchina comunale.

Qualche volta il Sindaco se l’è lasciato scappare: certi mezzi insuccessi vanno ascritti ad una qualche oscura resistenza interna. Un’insistente rete di clientele farebbe fin troppa opposizione al nuovo che avanza, ostacolando l’alternanza tra le consorterie.

Inutile dire che la destra ribatte colpo su colpo. «L’assunto che esista una relazione tra il comportamento del singolo dipendente e le scelte politiche di una qualsiasi Giunta non si regge in piedi» spiega l’opposizione unica di Andrea Sebastiani, con qualche altra firma accodata.

«M’hanno peculato pure a me!»

Noi lasciamo volentieri ognuno alle proprie ragioni: in questa contesa proprio non ci vogliamo entrare. Anche se la notizia di certe presunte appropriazioni indebite muove qualche rassegnata contestazione e un deluso desiderio di rivalsa da parte di una cittadinanza sempre più in difficoltà.

Ma non tutti la pensano allo stesso modo. Proprio l’altra mattina, al bar, abbiamo registrato lo stupore di un idraulico. Ormai abituato ad una certa dilazione dei pagamenti, si domandava cosa avesse fatto di male il malcapitato Dirigente: in fondo i soldi li stava pure restituendo! «Io a questi gli ho aggiustato un paio di lavandini e sono due anni che non mi pagano!» spiegava ad un amico mentre girava il caffè. «Allora m’hanno peculato pure a me!»

Ci perdonerà l’artigiano se abbiamo origliato, ma a suo modo ha colto un punto. In fondo la colpa del dirigente sembra quasi esser quella di aver applicato a proprio esclusivo vantaggio le odiose procedure che gli enti pubblici conducono in nome del popolo sovrano.

Il mare della banalità

Dire che certe mangerie, certi eventuali indecenti ladrocini vadano puniti è a dir poco banale. Se fossimo tutti bravi e onesti sarebbe l’ideale. Però non facciamo confusione tra legalità e moralità.

Il giustizialismo non aiuta affatto la giustizia. Parliamone della questione morale nella vita pubblica, ma portando lo sguardo anche al di là delle miserie di dirigenti e funzionari.

Un tema antico…

Il tema lo lanciò trent’anni fa Enrico Berlinguer sulle colonne de «La Repubblica», ma siamo ancora a “caro amico”. Il nocciolo della questione, spiegava il comunista, sta nella degenerazione dei partiti, ridotti ad essere soprattutto una macchina di potere. Un apparato estraneo alla vita e ai problemi della società e della gente, tutto volto a gestire interessi «senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, senza perseguire il bene comune». Un risultato ottenuto occupando lo Stato, fino al punto che anche un riconoscimento dovuto arriva solo in cambio di «un atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi».

… e oggi?

Oggi che i partiti non ci sono quasi più, oggi che si sono ridotti ad un movimentismo liquido e sempre più astratto, cosa accade? Debolezze dirigenziali a parte, l’analisi di Berlinguer come risuona nel dibattito attuale? Quando le forze in campo parlano delle cose da fare, pensano soprattutto al bene comune o c’è dell’altro? Prendiamo il caso dei Plus. Perché mai dobbiamo buttar via i sampietrini? Che c’è di morale nella sostituzione di una pavimentazione in buono stato? Poi non vi lamentate se a qualcuno viene il sospetto che si facciano piaceri a qualche marmista!

Se la questione morale non è esaurita, non dipende dall’avidità di qualche dipendente comunale, ma dal persistere del dubbio e dell’insinuazione, dal fondato timore che dietro ogni questione pubblica si annidi l’interesse degli “amici degli amici”.

Come ne usciremo?

Le “compagnie degli onesti” non bastano. Per venire fuori da questa opaca palude di diffidenza e disprezzo ci vorrebbe una sorta di religione civile, qualcosa che leghi tra loro i cittadini, i partiti, le istituzioni e li solleciti ad abbandonare le nicchie individualistiche o settarie, la progettualità del “tengo famiglia” e del “mi faccio i fatti miei”.

Da dove possa venire la forza per dare luogo a questa rivoluzione è il vero problema. Forse potremmo ricominciare dalla pietà per questa povera città esausta, per i suoi lavoratori, le sue crisi, le sue ansie. Oppure potrebbe darci una mano la vergogna per il nostro stato presente, per la nostra vilissima condizione.