«Il paesaggio come “super proprietà pubblica”, di cui i concittadini sono detentori». La tesi l’ha esposta Piero D’Orazi, responsabile territorio e ambiente della Delegazione Fai di Rieti, durante il secondo dei quattro convegni dedicati alla “Percezione consapevole di ambienti e spazi significativi” organizzati dal Fai di Rieti e da «Frontiera».
«La proprietà privata – ha sostenuto D’Orazi – va garantita solo quando si muove nel senso dell’utilità pubblica. Questo bisogna che ce lo mettiamo in testa. È un qualcosa che si può far risalire al diritto romano. Ma dallo statuto Albertino in poi, assistiamo al dominio della proprietà privata sulla “super proprietà pubblica”».
«Oggi – ha aggiunto l’architetto – ogni cittadino ha il diritto di dire: il mio Paesaggio, la mia super proprietà, è stata messa in minoranza dalla proprietà privata. La domanda che vale la pensa di farsi è: perché il diritto di tanti viene messo in pericolo dall’interesse di pochi? Non voglio far politica, ma posso dire che il capitalismo selvaggio ha dato un indirizzo: maggior consumo di ogni cosa. “Chi ci rimette ci rimette”: conta solo fare i soldi».
«Come funziona il capitalismo nelle città – ha proseguito D’Orazi – si spiega benissimo: sono le grandi compagnie di costruzione, le grandi imprese, a determinarne destini. Prima occupano terreno all’esterno, guidando lo spopolamento della parte centrale della città. Arrivate ad un certo limite abbandonano l’espansione, tornano nei centri e li riqualificano perché le classi più ricche tornino. È tutto un movimento fondato sui soldi. Le città non avevano mai avuto questa dinamica. Solo adesso si vede questo movimento». Continuare su questa strada – ha spiegato il responsabile territorio e ambiente della Delegazione Fai di Rieti – non vuol dire tanto dar ragione al capitalismo, quanto avviarsi al fallimento di città divenute insostenibili a causa di un rapporto squilibrato tra popolazione residente e superficie urbanizzata.
«Che cosa possiamo fare?» domanda D’Orazi. La risposta è che innanzitutto «ci dobbiamo riappropriare della consapevolezza di questi problemi, tornare a riconoscere il bene del Paesaggio, della super proprietà comune».
«L’attuale Piano Regolatore – ha concluso l’architetto – è uno strumento da mettere in crisi. Sarebbe il caso di ricominciare da capo, con un nuovo Piano Regolatore Generale che si fondi su due capisaldi: l’ambiente naturale e l’ambiente storico. Quello che “sta in mezzo” dovrebbe essere “congelato” nello stato attuale. E la regola generale dovrebbe mettere un serio limite al consumo del territorio. Il territorio dovrebbe essere riguadagnato. Ad esempio alcune zone industriali abbandonate andrebbero smantellate o acquisite dalla comunità in funzione di bene comune».