Per trono la croce, per corona le spine, per veste la nudità

Omelia del Vescovo di Rieti mons. Delio Lucarelli nella Solennità di Cristo Re dell’Universo.

Fratelli e sorelle carissimi,

con la celebrazione odierna nell’ultima domenica del tempo per annum, concludiamo l’anno liturgico e anche l’anno della Fede, indetto per la Chiesa universale, in cui in vario modo abbiamo cercato di approfondire aspetti e misteri della nostra esperienza cristiana.

Si chiude un anno ma non si chiude l’esigenza di continuare a riflettere e a far riflettere le nostre comunità sulla fede ricevuta, vissuta, trasmessa soprattutto testimoniata nel quotidiano fluire dei giorni.

Abbiamo il grave compito di attuare una fede pensata e intelligente, per poterla poi testimoniare e quindi diffondere come proposta di vita gioiosa e coinvolgente.

Le letture e la circostanza odierna sono ricche di spunti e di suggestioni.

La regalità di Cristo, come ho anche avuto modo di sottolineare lo scorso anno a chiusura dell’anno eucaristico diocesano, è una regalità di servizio e non di dominio, di accompagnamento dell’uomo e della donna di ogni tempo e del nostro tempo, come ci ricorda quasi ogni giorno Papa Francesco.

Questo porta con sé alcune conseguenze non marginali, che cercherò di segnalare nel corso della riflessione.

Vediamo anzitutto il contesto evangelico:  ben curiosa la morte di questo Re, che ha per trono la croce, per corona le spine, per veste la nudità.

Ma accanto due figure non secondarie, i due condannati che rappresentano le due tipologie di umanità: uno che crede, l’altro che provoca, chiede un segno.

La prova della fede! La chiedono in tanti, la chiede la nostra gente. Mettiamoci un momento dalla parte del malfattore malvagio. «Se sei tu il Cristo salvati e salvaci»!

È quanto di più ovvio, umano e logico si possa chiedere; perché non rendere tutto più semplice e fornire la prova tangibile e inconfutabile della propria potenza e regalità?

Perché non trasformare quel trono di croce in seggio aureo, quella corona di spine in corona di gemme preziose, quella nudità in abiti sontuosi? Avrebbero creduto tutti!

Forse potrà sembrare semplicistico e poco teologico, ma la risposta della regalità la dà l’altro malfattore, il cosiddetto buon ladrone.

«Noi siamo colpevoli e meritiamo la giusta pena, Egli è giusto»!

Certo che il retto comportamento non è prova della “verità della fede”, ma diventa il volano che permette di fare l’altro passo: «ricordati di me quando sarai nel tuo regno».

Ecco l’atto di fede a cui segue la rassicurante promessa: «oggi sarai con me in paradiso».

Il buon ladrone riconosce la regalità di Cristo, dunque un regno che non è di questo mondo, come aveva detto Gesù a Pilato.

L’atto di fede del malfattore si fonda non su miracoli o atti mozzafiato, ma egli riesce ad andare oltre l’apparenza.

L’atto di fede scavalca i limiti circoscritti dell’apparenza e l’uomo va oltre le cose tangibili.

Nella colletta alternativa prima delle letture si dice così: «… tu ci hai chiamato a regnare con il tuo Figlio nella giustizia e nell’amore…».

La regalità di Cristo si fonda su questi due importanti aspetti che sono complementari. La giustizia, che senza amore diventa giustizialismo e l’amore che senza giustizia diviene puro misericordismo, perdonismo qualunquistico.

A noi il grave compito di vivere tutto questo anzitutto in noi, nel nostro intimo.

La regalità di Cristo, che appare in tutta la sua contraddittorietà, sotto il profilo umano, proprio sulla croce, si esplica in modo particolare con il suo sguardo sull’umanità.

Mettiamoci un attimo sotto la croce, dove c’era quella piccola folla, di seguaci, di curiosi, di militari, di parenti, di sacerdoti e membri del Sinedrio: l’umanità variegata e sofferente, che crede e che sfida, che irride e che implora.

Che guarda comunque, spettatrice ormai impotente, l’ultimo atto di un dramma che si è ormai consumato.

Ma mettiamoci ora dalla parte dei tre crocifissi e del loro sguardo: quello del buon ladrone è ormai rassegnato ma sereno, quello del malfattore impenitente, forse spento e carico di risentimento e di rabbia, ma quello del Cristo è lo sguardo compassionevole di Dio sulla sua umanità comunque rappresentata.

Questi sguardi sono gli atteggiamenti che noi possiamo scegliere nei confronti dei nostri fedeli e di quanti incontriamo nel nostro cammino: la rassegnazione, l’aggressività o lo sguardo paterno di chi si pone accanto e cammina, aiutando, confortando e annunciando il Vangelo.

È la sola via che ci rende credibili: guardare il mondo come lo guarderebbe Dio!

Questo rende la fede accettabile, la Chiesa autorevole, il ministero significativo, il discepolato autentico.

Carissimi, le sfide del mondo e della storia ci chiedono questo sguardo paterno, efficace ed eloquente.

Anche in questi giorni, che hanno reso tragica la vita di migliaia di persone nelle Filippine e di decine di nostri connazionali in Sardegna, guardiamo il mondo con lo sguardo di Dio.

La furia della natura, ma anche la irresponsabilità dell’uomo possono essere una miscela esplosiva.

Ma l’uomo può rendere meno devastante la furia della natura usando della saggezza che ha in sé, senza far prevalere altri interessi.

Certamente la fede si interroga e l’interiorità è fortemente scossa per tanto male che hanno dovuto subire persone innocenti.

Ai defunti siamo vicini con la preghiera,ai supe rstiti, per quanto possibile, facciamo giungere il segno concreto della nostra fattiva solidarietà, sensibilizzando opportunamente le nostre comunità e i nostri conoscenti.

Al termine di questa celebrazione sarà dato l’annuncio dell’inizio dell’anno della Famiglia che si aprirà la domenica della Santa Famiglia, durante le feste di Natale, per la nostra diocesi.

Sarà anche l’anno della famiglia un’occasione per riflettere e sottoporre a verifica la nostra fede.

Vi sarà spazio per le analisi e le proposte, ma anche per rivisitare la nostra fede, così che non sono anni scollegati tra loro ma pienamente conseguenti l’uno all’altro.

Dovremo avere senso di responsabilità e spirito di collaborazione nel promuovere iniziative e nel partecipare a quanto ci verrà proposto, cercando di far prevalere non solo le nostre sensibilità, ma andando al significato più profondo di quanto sarà messo in cantiere.

La fede si esercita anche così!

«È lui, Dio, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati».

Ci ha guardati cioè con lo sguardo del Padre! Amen.