Il Papa ha concluso oggi il ciclo di udienze dedicate alla speranza cristiana con una meditazione sul Paradiso, pronunciata di fronte a 25mila fedeli.
Il paradiso non è un luogo da favola o un giardino incantato: è un abbraccio con Dio. Come quello del buon ladrone, un “povero diavolo”, un reo confesso che sul legno della croce ha avuto il coraggio di chiedere a Gesù: “Ricordati di me”. Il Papa, nell’udienza di oggi, pronunciata di fronte a 25mila fedeli e iniziata ospitando a bordo della jeep bianca scoperta quattro bambini, ha concluso con una meditazione su una parola – paradiso – che appare una sola volta nei Vangeli – il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana, iniziato il 7 dicembre scorso.
“Paradiso” è una delle ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce, rivolta al buon ladrone, esordisce Francesco descrivendo la scena del Calvario, in cui Gesù non è solo, ma circondato da due malfattori. Sono tre le croci issate sul Golgota, e accanto a Gesù c’è un reo confesso, uno che riconosce di aver meritato quella pena terribile. Il Calvario, il Venerdì Santo, è il momento dell’incarnazione in cui Gesù è più vicino e solidale con noi peccatori. È proprio là, sul Calvario, che Gesù ha l’ultimo appuntamento con un peccatore, per spalancare anche a lui le porte del suo Regno.
La parola paradiso compare una sola volta nei Vangeli, e Gesù lo promette a un “povero diavolo” che gli rivolge la più umile delle richieste: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
Il buon ladrone ci ricorda che noi siamo figli di Dio, di un Dio che prova compassione per noi ed è disarmato ogni volta che gli manifestiamo la nostalgia del suo amore:
“Nelle camere di tanti ospedali o nelle celle delle prigioni questo miracolo si ripete innumerevoli volte: non c’è persona, per quanto abbia vissuto male, a cui resti solo la disperazione e sia proibita la grazia. Davanti a Dio ci presentiamo tutti a mani vuote. E ogni volta che un uomo, facendo l’ultimo esame di coscienza della sua vita, scopre che gli ammanchi superano di parecchio le opere di bene, non deve scoraggiarsi, ma affidarsi alla misericordia di Dio”.
Dio è padre, e questo ci dà speranza, questo ci apre il cuore, dice Francesco a braccio citando ancora una volta una delle sue parabole preferite: quella del figliol prodigo, in cui il padre tappa la bocca con un abbraccio al figlio che ritorna a casa.
“Il paradiso non è un luogo da favola, e nemmeno un giardino incantato. Il paradiso è l’abbraccio con Dio, amore infinito”,
spiega il Papa: il nostro biglietto di ingresso lo ha pagato in anticipo Gesù, morto in croce per noi.
“Dove c’è Gesù, c’è la misericordia e la felicità; senza di lui c’è il freddo e la tenebra. Nell’ora della morte, il cristiano ripete a Gesù: ‘Ricordati di me’. E se anche non ci fosse più nessuno che si ricorda di noi, Gesù è lì, accanto a noi. Vuole portarci nel posto più bello che esiste. Ci vuole portare là con quel poco o tanto di bene che c’è stato nella nostra vita, perché nulla vada perduto di ciò che lui aveva già redento. E nella casa del Padre porterà anche tutto ciò che in noi ha ancora bisogno di riscatto: le mancanze e gli sbagli di un’intera vita. È questa la meta della nostra esistenza: che tutto si compia, e venga trasformato in amore”.
Se crediamo questo, assicura il Papa, la morte smette di farci paura, e possiamo anche sperare di partire da questo mondo in maniera serena, con tanta fiducia, perché chi ha conosciuto Gesù, non teme più nulla. E potremo ripetere anche noi le parole del vecchio Simeone, anche lui benedetto dall’incontro con Cristo, dopo un’intera vita consumata nell’attesa: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. È questo, il paradiso:
“E in quell’istante, finalmente, non avremo più bisogno di nulla, non vedremo più in maniera confusa. Non piangeremo più inutilmente, perché tutto è passato; anche le profezie, anche la conoscenza”.
Ma l’amore no, quello rimane. Perché la carità non avrà mai fine.