Papa Francesco a Cesena e a Bologna: accoglienza dei migranti e lavoro più dignitoso le priorità. Appello per un nuovo umanesimo e per una politica che sappia “ritessere” il dialogo tra i giovani e gli anziani
Un braccialetto giallo, ricevuto in dono. Il Papa lo mette subito al polso, e così diventa lui stesso uno dei richiedenti asilo dell’hub regionale di via Mattei, prima méta del suo viaggio a Bologna, dopo la tappa a Cesena. Sono mille, gli ospiti della struttura, hanno i volti e le storie di tanti colori diversi. Francesco li saluta uno per uno e dice: “Vengo in mezzo a voi perché voglio portare nei miei i vostri occhi, nel mio il vostro cuore”. I migranti vogliono essere “adottati”, assicura il Papa usando questo termine anche dopo, nell’Angelus recitato a San Petronio. Quarantamila persone hanno assistito alla Messa conclusiva allo Stadio Dall’Ara, preceduta dall’incontro con il mondo del lavoro a piazza Maggiore, dove Francesco è arrivato subito dopo aver lasciato l’hub, dal pranzo a San Petronio con 1.400 detenuti, rifugiati, poveri e malati e dall’incontro con gli studenti e il mondo accademico. Nella città che vanta la più antica università del nostro Continente, il Papa rilancia il sogno di un’Europa “universitaria e madre” che, “memore della sua cultura, infonda speranza ai figli e sia strumento di pace per il mondo”, a partire dal ricco patrimonio del suo umanesimo. Il diciassettesimo viaggio di Papa Francesco in Italia era cominciato di buon’ora a Cesena, dove la gente si è messa in fila fin dal cuore della notte per abbracciare Bergoglio. In piazza del Popolo – per i cesenati semplicemente “la piazza” – l’invito è a riaccendere la passione politica.
“Siete dei lottatori di speranza”. Quando parla agli ospiti dell’hub, il Papa ha in mente non solo chi ce l’ha fatta, ma anche chi non è arrivato perché è stato inghiottito dal deserto o dal mare.
“Nel mio cuore voglio portare la vostra paura, le difficoltà, i rischi, l’incertezza, anche tante scritte: ‘Aiutaci ad avere dei documenti’; le persone che amate, che vi sono care e per le quali vi siete messi a cercare un futuro”.
Per accogliere i migranti servono visione e determinazione, intelligenza e strutture, ma l’integrazione inizia con la conoscenza: “Molti non vi conoscono e hanno paura”, e così si arrogano il diritto di giudicare o, peggio, quello di insultare o usare frasi terribili via internet.
“Portarvi negli occhi e nel cuore ci aiuterà a lavorare di più per una città accogliente e capace di generare opportunità per tutti”.
Queste le parole che consegnano la stessa missione alla città di Bologna, da sempre nota per la sua capacità di accoglienza. “Essere aperti alla cultura di questa città, pronti a camminare sulla strada indicata dalle leggi di questo Paese”, l’imperativo destinato ai migranti.
Al mondo del lavoro, in piazza Maggiore, il Papa chiede di portare avanti il “sistema Emilia” per cercare una società più giusta. Non ci si può assuefare al problema della disoccupazione: le persone non sono statistiche, c’è bisogno di soluzioni stabili, non di elemosine, per rispondere alle necessità delle persone e delle famiglie e alla loro voglia di futuro. Bisogna aumentare le opportunità di lavoro dignitoso, valorizzando l’umanesimo di cui Bologna è da sempre depositaria per cercare soluzioni sapienti e lungimiranti ai problemi del nostro tempo.
E proprio a questo tema è dedicato il discorso rivolgo agli studenti e alla comunità accademica: “L’Università di Bologna è da quasi mille anni laboratorio di umanesimo”, ricorda Francesco: tutto è iniziato qui, all’insegna dell’inclusione e della ricerca del bene.
“Ecco il vostro grande compito: rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione”, l’appello: “Non accontentiamoci di assecondare l’audience. Contro una pseudocultura che riduce l’uomo a scarto, la ricerca a interesse e la scienza a tecnica, affermiamo insieme una cultura a misura d’uomo, una ricerca che riconosce i meriti e premia i sacrifici, una tecnica che non si piega a scopi mercantili, uno sviluppo dove non tutto quello che è comodo è lecito”.
Il diritto alla speranza è il diritto “a non essere invasi quotidianamente dalla retorica della paura e dell’odio. È il diritto a non essere sommersi dalle frasi fatte dei populismi o dal dilagare inquietante e redditizio di false notizie”. Poi la citazione del card. Lercaro: “La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia”. “Mai più la guerra, mai più contro gli altri, mai più senza gli altri”, l’esclamazione sulla scorta di Benedetto XV.
“Non credete a chi vi dice che lottare per questo è inutile e che niente cambierà! Non accontentatevi di piccoli sogni, ma sognate in grande”,
le parole rivolte specificamente ai giovani, destinatari privilegiati del viaggio già dall’inizio, dalla tappa a Cesena. A loro il Papa si è rivolto parlando a braccio, dopo l’incontro con il clero: “Cosa devono fare i giovani? Parlare con gli anziani. Così diventerete rivoluzionari”. “Oggi in politica è l’ora dei giovani e degli anziani”, afferma Francesco nel suo primo discorso, in piazza del Popolo, in cui identifica nella capacità di ritessere il rapporto tra le vecchie e le nuove generazioni il primo compito di una buona politica.
“Da questa piazza vi invito a considerare la nobiltà dell’agire politico in nome e a favore del popolo”,
l’esortazione del Papa: il buon politico è un martire, e il primo nemico di una buona politica è la corruzione. Per cominciare ad invertire la rotta, si può partire dalla Romagna, terra di accese passioni politiche.