«Gesù Cristo non è un eroe immune dalla morte, ma colui che la trasforma con il dono della sua vita. E quel lenzuolo piegato con cura dice che non ne avrà più bisogno: la morte non ha più alcun potere su di lui». Lo ha detto il Papa, congedandosi dal Circo Massimo attraverso la narrazione di Giovanni, nel cui Vangelo «c’è l’umanità ferita che viene risanata dall’incontro con il Maestro; c’è l’uomo caduto che trova una mano tesa alla quale aggrapparsi; c’è lo smarrimento degli sconfitti che scoprono una speranza di riscatto. E Giovanni, quando entra nel sepolcro di Gesù, porta negli occhi e nel cuore quei segni compiuti da lui immergendosi nel dramma umano per risollevarlo».
«Il Vangelo dice che Pietro entrò per primo nel sepolcro e vide i teli per terra e il sudario avvolto in un luogo a parte. Poi entrò anche l’altro discepolo, il quale vide e credette», ha ricordato Francesco, secondo il quale «è molto importante questa coppia di verbi: vedere e credere». In tutto il Vangelo di Giovanni, infatti, «si narra che i discepoli vedendo i segni che Gesù compiva credettero in Lui. Di quali segni si tratta? Dell’acqua trasformata in vino per le nozze; di alcuni malati guariti; di un cieco nato che acquista la vista; di una grande folla saziata con cinque pani e due pesci; della risurrezione dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni. In tutti questi segni Gesù rivela il volto invisibile di Dio». «Non è la rappresentazione della sublime perfezione divina, quella che traspare dai segni di Gesù, ma il racconto della fragilità umana che incontra la grazia che risolleva», il commento di Francesco.