Non si possono valutare allo stesso modo insegnanti e ingegneri

Si è svolto nel pomeriggio del 5 aprile presso l’aula magna dell’Istituto Professionale Alberghiero “Costaggini” di Rieti, un intenso incontro con lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati dedicato alla presentazione del libro “L’uomo del futuro – Sulle strade di don Lorenzo Milani”.

Di fronte all’autore una platea composta in gran parte da insegnanti: per riprendere il filo del discorso aperto dal sacerdote toscano a Barbiana, e insieme ragionare sulla scuola di oggi, su cosa significa insegnare e imparare nel complesso panorama del presente, sul disperato sforzo di prendere nella rete delle griglie di valutazione “oggettiva” il mare della reale vita sui banchi.

Tanti aspetti nei quali l’autore è entrato con la doppia lente della sua esperienza di docente negli istituti professionali e di fondatore della scuola gratuita di italiano per stranieri “Penny Wirton”.

Affinati non è contrario per principio al tentativo di valutare la scuola. Ma non fatica neppure a indicare il momento in cui questo sforzo va in crisi: accade quando si pretende di assimilare gli insegnanti agli ingegneri. Perché in ballo c’è qualcosa che non può essere ridotto a una questione quantitativa. Perché la qualità scolastica è il frutto di tante variabili.

Soluzioni come l’Invalsi si scontrano con la natura dei processi dell’apprendimento. Le capacità di lettura e comprensione, ad esempio, hanno a che fare con procedimenti mentali troppo complessi per essere ridotti ad uno schemetto. «Non sempre la risposta giusta corrisponde in una progressione nella conoscenza – sottolinea lo scrittore – e una risposta sbagliata non sempre significa che il ragazzo non ha capito».

Come a dire che gli obiettivi della valutazione scolastica non vanno sminuiti, ma vanno moltiplicati. «Dobbiamo comunque cercare di ottenere il massimo dal ragazzo che abbiamo di fronte, ma tenendo presente la sua posizione di partenza. Valutando soprattutto il movimento registrato prima ancora del risultato».

Una posizione alla Milani che sembra inattuale perché ormai l’Europa ha scelto di puntare su parametri oggettivi di valutazione. «Ma l’Europa siamo noi» ribatte Affinati. «L’Europa è nata in Italia, dal nostro Umanesimo, dal Rinascimento. Siamo noi che ci siamo inventati lo spirito critico e non possiamo rimetterci nelle mani dei burocrati di Maastricht o di Bruxelles. Siamo sicuramente in grado di pensare ad uno strumento valutativo più flessibile, più idoneo. Ci deve essere una valutazione della qualità scolastica, ma fatta in un altro modo».

Bello a dirsi, ma il sistema scolastico sembra essere di fronte alla necessità di sanare una ferita aperta. Forse, però, è proprio in questo senso che può tornare utile il cristiano Lorenzo Milani. Affinati coglie in lui un parallelo con il grande teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, «uno dei più grandi cristiani del ‘900». In comune hanno la provenienza aristocratica e la preferenza per i poveri, ma soprattutto il sentimento di un «cristianesimo non solo togato».

«Milani rivendicò sempre la sua appartenenza alla Chiesa, non fu mai un eretico, e tuttavia ebbe la forza di coinvolgere quelli che non la pensavano come lui. Don Lorenzo può essere seguito anche da un non cristiano, perché il suo spirito è capace di donare una intensificazione dell’esistenza. Don Lorenzo di arricchisce, ti rende più vera la vita».

Un approccio per certi versi “laico”, da usare come strategia per conseguire un positivo cambiamento anche nel mondo della scuola. E può funzionare se persino papa Francesco sembra averlo fatto suo. «In un incontro con il mondo della scuola – ha ricordato Affinati – ha sdoganato don Lorenzo Milani, lo ha indicato come modello esemplare. Forse perché ha capito che la Chiesa deve rinnovare il suo linguaggio. Perché altrimenti ci perdiamo le generazioni che abbiamo di fronte».

foto di Samuele Paolucci