Non ci sono alternative

Troppo spesso la vita religiosa e l’ambito ecclesiale sono vissuti come qualcosa “d’altro” rispetto alla quoditianità.

Le dicotomie alternative sono sempre fondate sul presupposto che una cosa sia migliore dell’altra o al più vi sia sovrapposta; di solito queste dicotomie generano contrapposizione e la contrapposizione genera lotta e antagonismo: Chiesa e mondo, ragione e fede, religioso e laico, sacro e profano, come se l’umanità debba essere suddivisa per forza in due. L’esperienza ci insegna che non è così.

Non Chiesa e Città, ma la Chiesa nella Città, una Chiesa che può dare quel contributo vitale per ricollocare nel giusto contesto quell’insieme di valori e di significati che costruiscono il tessuto sociale e antropologico di un popolo.

La spinta che il Vescovo Lucarelli ha dato nell’omelia della dedicazione del Duomo il 9 settembre sembra essere in questo orizzonte: andare al cuore dei problemi, ha detto il presule, per attirare gli adoratori. Andare al cuore dei problemi sia in senso spirituale che materiale per far sì che le persone vedano nella opzione religiosa e nella pratica religiosa una prospettiva accattivante, non di consuetudine, non di routine, ma una scelta che dia senso alla vita.

Per il Vescovo il cuore dei problemi della nostra Città e quindi e dunque della nostra Chiesa è dato dalla famiglia e dai giovani, provati più e prima che dalla mancanza di lavoro e di mezzi materiali, da una prospettiva di significato molto più difficile, paradossalmente, da colmare.

Le parrocchie per prime (parà oikia = presso le case, non solo dal punto di vista “edilizio” ma sostanziale) devono essere in grado di rilevare i problemi, saperne cogliere la portata effettiva, approntare aiuti materiali, ma anche fare proposte corpose e consistenti per aiutare a trovare risposte.

Non può che essere questo il punto di partenza di una evangelizzazione che non sia pura ripetizione di esortazioni e di brani biblici vetero e neotestamentari. O di una attività pastorale che si basi solo sull’efficiente ma insipida amministrazione di sacramenti, sacramentali o servizi ecclesiali.

Le persone hanno sete di conoscere aspetti e problemi del mondo della fede e della Chiesa, ma spesso noi approntiamo risposte a domande che nessuno si pone.

Molte delle nostre parrocchie sono “presso le case” dal punto di vista edilizio, ma sono ben lontane dai problemi della gente: questo è il vero scandalo.

Quotidiano “La Repubblica” di domenica 9 settembre, proprio il giorno della dedicazione della nostra Cattedrale: una lettrice scrive indignata che un parroco del napoletano ha chiesto cento euro per la celebrazione di una Messa funebre di trigesimo, cioè dopo un mese dalle esequie. Quella parrocchia è presso le case o no? È lontanissima, soprattutto coi tempi che corrono e con la crisi in atto; per venti minuti di Messa, dice la signora, con un’aria scocciata che fa accapponare la pelle, non si possono chiedere cento euro.

Se quella parrocchia fosse veramente “presso le case” e vicina ai problemi del popolo il sacerdote non avrebbe chiesto nulla ma avrebbe ricevuto forse lo stesso o forse di più. L’evangelizzazione non è un blaterare urlato o astioso, ma è stile quotidiano di una testimonianza limpida e distaccata da ciò che conta meno.

In questa ottica non esiste una Città di Dio, quasi prefigurata e rappresentata dalla Chiesa, e una Città dell’Uomo abitata dai poveri peccatori. Ma entrambe sono Città di Dio e dell’Uomo, ove non esistono dicotomie ma piena armonia e condivisione di obiettivi, di intenti, di fini. Per cui la Chiesa si incanala nei tessuti della Città e quest’ultima innesta i suoi rami nel terreno della Chiesa. Allora ciascuna sarà più o meno sporca, più o meno efficiente, più o meno valida a seconda se questo scambio sarà positivo oppure no. Molto dipende dalle circostanze e dall’aiuto di Dio, ma quasi tutto dipende dall’Uomo.