Lo scontento dei meno peggio

Facce deluse, scoraggiate, invecchiate. Sono quelle dei pochi che questa mattina hanno partecipato allo sciopero indetto da Cgil, Cisl e Uil per chiedere sostanziali modifiche alla prossima legge di stabilità.

La partecipazione all’iniziativa è sembrata mossa più da una sorta di dovere verso se stessi che da una vera convinzione. Forse aveva il sapore di una forma di resistenza estrema. Di certo non si è vista una città che si mobilita, si riunisce e partecipa.

A conti fatti sembrava che ognuno fosse lì per conto suo. Tanti i capannelli di quattro o cinque persone intente a vedersela tra di loro. Pochi quelli che realmente hanno ascoltato le esortazioni dei leader sindacali.

Vanno riconosciute tante buone intenzioni, e i ragionamenti sentiti dal palco filavano pure. Ma è sembrato davvero difficile rintracciare all’interno della  manifestazione la motrice di un qualche cambiamento. Il tutto aveva piuttosto il segno della sconfitta, della difficoltà, della debolezza.

E ad aggravare il bilancio c’è la consapevolezza di aver visto schierati in piazza i “meno peggio”, il settore che ancora resiste, anche se al momento riesce a malapena a difendere se stesso.

Non è una critica, ma una costatazione. E non c’è certo da rallegrarsi per come vanno le cose. Ma se vogliamo rialzare la testa dovremo davvero fare di meglio. C’è da raccogliere quel po’ di forze che rimangono e provare a ricostruire un qualche senso della comunità, l’idea di un destino condiviso, l’aspirazione ad un miglioramento possibile.

La manifestazione di sabato potrebbe essere un primo, timido, passo in questa direzione. La conquista di una qualche prospettiva collettiva sarebbe già un progresso.