La laurea di Andrea e la razza di chi rimane a terra

La malattia ha una sua forza positiva. Sta nella sua capacità di ribaltare le prospettive, di cambiare i presupposti, di vincolare le risposte a logiche diverse. La malattia obbliga a riordinare le priorità, cambia la scala dei valori. Ma insieme può donare una forza inaspettata, che permette di raggiungere risultati apparentemente inarrivabili per chi la vive. E con questo ridimensiona le pretese e le sciocche vanità di chi, per sua fortuna, ne è escluso.

Lo ha dimostrato con la sua storia Andrea Paolucci. È un nostro concittadino, chiuso nel “pozzo” dell’autismo. Ma questo non gli ha impedito di conseguire la laurea in Scienze della Formazione e del Servizio Sociale.

Ci è riuscito anche grazie a Facebook: «Una delle più belle novità nella mia vita. […] Sono uno come gli altri il mio autismo si eclissa».

La maggior parte di noi occupa il tempo sui social network per tenere in piedi un inutile chiacchiericcio, per moltiplicare sciocchezze o insulti, per diffondere filmati ridicoli o demenziali. In tanti usano Facebook per sciorinare la più facile delle indignazioni, accusare zingari e immigrati, insultare politici.

Quando va meglio le bacheche si affollano di autoscatti, foto e video di cuccioli, inutili appunti di vita quotidiana, citazioni a vanvera.  Tutto messo in mostra – nella maggior parte dei casi – per misurare la propria popolarità, collezionare “mi piace”, quasi confessando una sorta di tentazione di esistere.

Per Andrea è diverso. Ha trasformato il network in un margine di vita, ne ha sfruttato le caratteristiche per aprire una finestra attraverso cui affacciarsi sul mondo. Ed al mondo ha regalato la possibilità di guardare in fondo al pozzo, di capire di quale materia sono fatti i pensieri che ci sono imprigionati e di scoprire a quali altezze si può arrivare da quell’abisso.

Soprattutto, con innocenza, ci ha mostrato quanto generalmente voliamo basso, quanto facilmente ci appassioniamo del nulla, quanto miseramente usiamo le migliori tecnologie che abbiamo.

«Ali spezzate che sanno volare raggiungendo vette lontane, inospitali al genere umano. Io cavalco il vento, in equilibrio instabile, sconosciuto alle abilità del mondo mi dirotto come posso e divento quasi uomo vero» ha scritto Andrea sulla sua bacheca virtuale.

La notizia l’hanno data tutti i media, ma non è la laurea. È che sono in troppi della razza di chi rimane a terra.