«L’arte conserva nelle vene tutto l’alfabeto». Dialogo con Felice Paniconi

E se per un giorno decideste di allontanarvi da questo mondo caotico, per immergervi nella poesia, come il Leopardi di fronte alla siepe dell’Infinito? Una buona scelta di lettura potrebbero essere le opere di Felice Paniconi, conterraneo di Rivodutri. Dopo “Se della rima un bacio” e “Demotica”, lo scorso anno ha presentato la sua nuova creazione, “Spedizioni”, insieme all’amico pittore Amedeo Graziani. “Spedizioni” è un’opera particolare, poiché a un quadro di Graziani, Paniconi ha dato una sua interpretazione, attraverso un breve componimento poetico. Abbiamo scambiato qualche parola con lui.

Qual’è stata la Genesi della sua opera?

Il libro nasce in modo particolare. Amedeo Graziani è un mio vecchio amico delle superiori. Già all’epoca ognuno seguiva già i propri interessi: io la poesia, lui la pittura. Poi, parecchi anni dopo, mi invitò ad una mostra, essendo diventato pittore della scuola di Cittaducale fondata da Lin Delija. Poiché a me piace parlare di fronte ad un quadro, ci siamo messi a chiacchierare sui suoi, e così Amedeo mi ha proposto di scrivere queste cose: gli erano piaciute. Eravamo nel 2008. dopo averlo fatto e dopo parecchio tempo, quattro anni, abbiamo pensato a questo libro con dentro i suoi quadri e le mie interpretazioni. Non sono però interpretazioni del quadro, ma un modo di andare oltre il quadro, e di cercare con le parole di portare avanti il messaggio che c’è dentro.

Il titolo “Spedizioni” non è certamente casuale…

“Spedizioni” non è altro che un messaggio che i due artisti danno che poi deve essere interpretato dal lettore. Chi lo riceve deve rielaborarlo in base alle sue cultura, idee e maturazione. Esiste questo concetto che non tutto ritorna, come appunto la spedizione. Noi abbiamo immaginato che fra cento, duecento anni, si possano trovare dei frammenti di questo libro. Così si è cercato di dare delle idee sul nostro mondo, su quello che potrebbe essere.

I quadri, più delle parole, esprimono concetti molto forti.

Certo. Alcune foto dei quadri rendono abbastanza, mentre alcune sono volutamente sfocate per colpire il lettore. Nel quadro soprannominato l’innominato (foto sopra, ndr) io ho immaginato il protagonista come se lui avesse paura di questo nero, che lo sovrasta, lo domina e quindi si copre per proteggersi. Infatti io scrivo «occhi chiudere alla nera cornice / l’innominato opprime». Sul termine Innominato ho riflettuto molto, perché inizialmente scrissi «ciò che non sappiamo». Essendo però una parola manzoniana, ma soprattutto molto più forte ho scelto «l’innominato». Questa parola infatti rappresenta ciò che non ha nome o non si conosce. Ciò che non ha nome incute paura, però può esprimere uno stimolo verso la conoscenza.

Si notano, nel suo libro, alcune espressioni latine…

Sì. Ho effettuato un lavoro linguistico un po’ particolare. Sono passato dal greco al latino per poi giungere all’Italiano volgare di Dante. Le parole oggi esprimono una loro storia complessa. Andare a ritrovare l’origine della parola sarebbe come ripulirla, bisogna togliere le incrostrazioni semantiche per ridare alla parola una certa purezza stilistica.

Come ha scelto la copertina del suo libro?

Era il quadro che, scelto da entrambi, esprimeva di più il concetto di “Spedizioni”. Infatti si nota una persona che forse è in attesa; sullo sfondo c’è uno scatolone, che si lega egregiamente al concetto di spedizione. Ovviamente il tutto è una metafora. Però quando si pensa ad una spedizione si pensa a un concetto non tanto astratto ma quasi concreto.

Oltre al concetto di “spedizione”, quali tematiche emergono?

Ovviamente non c’è solo il concetto di “spedizione”. Sul retro copertina ho scritto «L’arte conserva nelle vene tutto l’alfabeto». In questa babele di messaggi, di grande confusione dei nostri tempi, l’unico messaggio vero è quello artistico. Per questo questa frase è piaciuta molto ai nostri lettori.

Verso quale pubblico potrebbe essere rivolto il suo libro?

A tutti, a chi li trova. Può essere un bambino, un’ adolescente, chiunque. Capire “Spedizioni” non è facile. Anche il linguaggio usato ha dei riferimenti culturali ben determinati. Però, visto che ci sono le immagini, un bambino potrebbe leggerle tranquillamente. Tutti possono capire in base a quello che è il loro mondo. Le parole, infatti, veicolano sempre dei significati, magari più a livello di suono. Un bambino infatti potrebbe essere più colpito da un suono che dal significato, poiché magari non conosce il significato. Già il suono dice molto.

Il suo precedente libro, Demotica, invece ha una struttura ben diversa.

Demotica infatti rappresenta più una storia del mio pensiero e della mia vita. È diviso in varie parti: le prime due, Stile della Memoria e Rime Familiari, che riportano alla memoria, espressa come uno stile particolare. Microludi, invece, sarebbero piccoli giochi enigmistici di poche righe. Mutazioni, sono delle traduzioni, chiamate da me così per una mia scelta lessicale: la poesia non può essere tradotta, perché altrimenti si perderebbe il valore fondamentale della poesia, il significante, il ritmo. Quindi si deve necessariamente produrre qualcosa di nuovo. Sono quattro poesie che ho “tradotto” in diversi momenti della mia vita. Infine c’è l’Appendice del mio primo libretto Se della rima il bacio. Demotica si chiude inoltre con un breve scritto di Walter Pedullà.