L’acqua di Rieti oltre la protesta

La polemica forte di questi giorni attorno al tema del ristoro economico per lo sfruttamento delle sorgenti del Peschiera sembra una buona occasione per ragionare su una visione che vada oltre l’esistente per inventare ulteriori modi di vivere e ricorrere alla nostra risorsa più abbondante

Tra le occasioni mancate del territorio c’è di sicuro quella delle acque. La storia è nota: da decenni quelle delle sorgenti Peschiera-Le Capore alimentano gli acquedotti romani. Un servizio gestito da Acea, ma con le concessioni scadute da un bel po’. E senza che i Comuni e la Provincia siano riusciti a ottenere uno straccio di indennizzo economico per lo sfruttamento dell’oro blu e per i vincoli che la presenza di un’infrastruttura del genere comporta.

Un contenzioso che si è tradotto in una lunga battaglia legale, che sulla carta ha riconosciuto al territorio un compenso milionario, ma senza che gli aventi diritto siano davvero mai riusciti a vedere un centesimo. L’ultimo tentativo per sanare la questione era arrivato con una delibera della Regione Lazio. Economicamente suonava come un accordo al ribasso, ma in tanti avevano guardato al provvedimento con entusiasmo, facendo propria la logica del «poco, ma subito».

A freddare gli animi ci ha pensato il nuovo sindaco di Roma, che ha impugnato l’atto per sottoporlo al giudizio del Tar.

Un gesto che ha scatenato – con alcuni distinguo – l’indignazione delle forze del territorio. Soprattutto di quelle politiche. Anche di quelle che, come rilevano alcuni commentatori, in passato hanno preferito lavorare sottotraccia o, volendo essere maliziosi, hanno scelto di fare buon viso a cattivo gioco. Fatto sta che il 5 agosto si terrà una manifestazione di protesta nei pressi degli impianti del Peschiera.

Può essere utile se servirà a superare la logica del muro contro muro, ad accendere una nuova luce sul bene prezioso dell’acqua, ad alimentare una qualche sinergia tra tutti i territori coinvolti.
Da un punto di vista immediato, probabilmente cambierà poco o niente. Ma ritrovare un interesse convergente in un territorio piccolo e frammentato come il nostro, destinato a fare i conti con forze e interessi molto più compatti e consistenti, sembra una scelta necessaria.

Anche per ricordarci che l’acqua di Rieti non è soltanto la “fontana di Roma”. Come ricordava il vescovo Domenico nel suo Discorso alla città dello scorso dicembre, la risorsa «segna il microclima della città e sottolinea la particolare conformazione del nostro ambiente naturale». Una presenza che, senza escludere il tema delle concessioni e del giusto ristoro economico, apre a ragionamenti che guardano oltre, puntando a trasformare il vincolo in una risorsa. Perché se davvero il nostro territorio ha un «patrimonio idrico unico in Europa per quantità, qualità e concentrazione, e vanta una storia idraulica/agricola millenaria ed esemplare», si possono pensare altre forme di valorizzazione e conservazione. Ad esempio, trovando una sede per fare di Rieti il teatro «di una esposizione permanente (parco/museo) dedicata all’acqua».

Un prodotto culturale, ma anche turistico, allineato alla Laudato si’, che avrebbe bisogno di «uno spazio sufficientemente ampio da accogliere la presentazione di questa risorsa non solo nel suo ciclo vitale e nei suoi elementi fondamentali (precipitazioni, sorgenti, fiumi, laghi, ecc.), ma soprattutto attraverso tutte le potenzialità di azione e di utilizzazione, sensibilizzando ai rischi derivanti da calamità naturali, che diventano tragedie solo a causa delle cattive forme di gestione».

Magari l’istituzione di una simile struttura non porterà immediata soddisfazione alle esangui casse dei Comuni, ma ha il pregio di ragionare su una strategia di lungo termine, di immaginare nuovo sviluppo e nuovo lavoro, cogliendo tra gli aspetti della risorsa quelli più difficili da depredare.

E forse il parco/museo ci aiuterebbe pure a ricordarci un po’ chi siamo: un popolo che le acque le ha sapute far fruttare in tanti modi.